18 Agosto 2025 - 8.02

Estate 2025: italiani i nuovi poveri, non ci resta che piangere?

Ferragosto è passato. Primi consuntivi dell’estate

Baldo Umberto

“È tempo che i gabbiani arrivino in città, L’estate sta finendo, lo sai che non mi va, Io sono ancora solo, non è una novità, Tu hai già chi ti consola, a me chi penserà…”
E’ una strofa del tormentone del 1985 con cui il duo “I Righeira” vinsero il Festivalbar, e di fatto era un inno alla fine dell’estate.
E avevano ragione loro: Ferragosto è andato, l’estate “ufficiale” reggerà ancora qualche giorno sulle brochure dei tour operator, ma nella testa degli italiani è già autunno.
La sabbia comincia a sembrare segatura, le granite hanno il sapore dell’acqua stagnante, e il mare diventa più un ricordo Instagram che una gioia reale.
Hai voglia a dire che settembre è ancora estate (ed è vero climaticamente), e che “le prenotazioni volano” (così almeno giurano gli operatori turistici per autoconvincersi).
Ma a chi vogliono darla a bere? In Italia il calendario è diverso: passata la metà di agosto cala il sipario, si chiude la baracca, scatta il richiamo della foresta; ma la foresta sono i palazzi grigi delle città, gli uffici ripartiti a metà, e le scuole da riaprire.
A questo punto credo che un primo bilancio della stagione si possa abbozzare, anche se non ufficiale: il draft, come direbbero in azienda.
La domanda è semplice: per cosa ricorderemo l’estate 2025?
Per il caldo direi proprio di no, perché nonostante tutti gli sforzi profusi dai negazionisti del climate change, ciascuno di noi il caldo estremo di questi giorni lo sente sulla propria pelle, ed ormai è chiaro che “ogni estate è la più calda di quelle passate, e la più fresca di quelle future”.
Ovviamente sul fattore climatico c’è poco da fare, poco da filosofeggiare: è così, è inutile prendersela, e non basta negarlo davanti a un mojito annacquato sotto l’ombrellone.
La vera novità è che la gente comincia a scappare in montagna, e forse tra un paio d’anni il “tormentone balneare” sarà sostituito da “fuga in malga”.
Ma torniamo alle spiagge.
Da sempre l’altare laico dell’italiano medio, che però quest’anno ha dimostrato un affetto un po’ più tiepido.
“Ferragosto senza il pienone: bene gli stranieri, in calo gli italiani”, immagino stiate pensando sia uno dei titoli che ci hanno accompagnato in queste ultime settimane.
Sbagliato: Si tratta del titolo del 17 agosto 2023 del più importante quotidiano economico del Paese (https://www.ilsole24ore.com/art/ferragosto-senza-pienone-bene-stranieri-italiani-calo-AFMD4kZ) , il che dimostra che il problema del calo degli italiani nei sacri bagnasciuga della Patria non è un problema del 2025.
La tendenza era già visibile negli anni scorsi.
E quindi per certi aspetti hanno forse ragione i balneari ad essersi sentiti quasi il bersaglio di questa estate, il classico capro espiatorio (avete notato che nemmeno i politici amici li hanno difesi?).
Certo, la questione delle concessioni e dei prezzi da rapina resta.
Un ombrellone in certe località costa più di un leasing auto, ed un piatto di spaghetti alle vongole rischia di finire al vaglio della Guardia di Finanza.
Ma sarebbe riduttivo dire che è tutta colpa dei listini delle spiagge.
Non è un fulmine a ciel sereno! Come abbiamo visto già nel 2023 i giornali scrivevano “Ferragosto senza pienone”.
Solo che i balneari hanno fatto orecchie da mercante. E adesso piangono lacrime di coccodrillo, mentre chiedono pietà come se fossero loro le vittime.
Il punto vero è che sempre più famiglie scoprono che una settimana di vacanza al mare equivale ad un mese di stipendio.
E qui casca l’asino. Perché gli italiani non sono scemi (anche se a volte si impegnano per sembrare tali).
Hanno capito che una settimana di mare vuol dire sacrificare tra il 10% e il 17% del reddito annuo. Una follia. Non è più “villeggiatura”, è autolesionismo.
Con buona pace delle foto di Ferragosto da postare sui social, il bilancio familiare non perdona.
Negli ultimi anni i costi sono saliti in modo costante; nel 2025 addirittura tra il 5% e il 20% in quasi tutti i comparti; strutture ricettive, ristoranti, stabilimenti, trasporti.
Risultato? La vacanza estiva rischia di diventare un lusso per pochi, e non parlo dei soliti yacht attraccati a Porto Cervo.
E se gli operatori turistici piangono oggi, forse farebbero meglio a guardare al domani: con stipendi fermi ed inflazione che viaggia “sottotraccia”, il futuro promette lacrime amare.
Già, perché i numeri ufficiali raccontano di un’inflazione stabile all’1,7%.
Peccato che nei supermercati gli alimentari, soprattutto frutta e verdura, aumentino in percentuali ben più elevate, e nei voli aerei le tariffe sembrino quelle di un’asta Sotheby’s.
Ma certo i nostri statisti in doppiopetto forse non hanno mai fatto la spesa, né prenotato un volo low cost a 600 euro.
Alla fine, la fotografia è questa: gli italiani, stretti tra redditi stagnanti e prezzi folli, hanno riscoperto la staycation, ovvero “restare a casa”.
Che suona meglio di “non ci possiamo permettere un tubo”, ma la sostanza è quella.
Insomma, l “estate che sta finendo” non è certo stata esaltante.
Per me quindi il bilancio provvisorio è semplice: sole rovente, portafogli vuoti, e illusioni finite.
Certo, a tenere in piedi il carrozzone ci sono gli stranieri.
Tedeschi, francesi, olandesi, americani, arabi, ora anche i russi, che spendono e spandono, dando ossigeno a spiagge e ristoratori (ed alla bilancia commerciale, con grande gioia di Meloni, Giorgetti e Santanché).
Ma la cosa che mi disturba molto e che sotto sotto percepisco un retrogusto amaro: un sapore di neocolonialismo turistico.
Un po’ quello che accadeva – e accade ancora – in Africa, dove i locali, poveri, restavano spettatori dei privilegi altrui.
Oggi i “poveri” siamo noi: italiani che guardano le proprie spiagge diventare scenografie di lusso per altri, senza più il diritto di goderne davvero.
Umberto Baldo

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