10 Marzo 2025 - 9.56

E mo’, so’ dazi amari!

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Umberto Baldo

Chissà, può anche darsi che alla fine la Presidenza Trump passi alla storia come la “nuova età dell’oro”, ed il Tycoon come un novello Re Mida che trasforma in oro tutto ciò che tocca.

Come può anche essere che le politiche economiche del neo Presidente, alla prova dei fatti, si trasformino in Trumpnomics, a metà fra il tragico ed il comico, capaci di fare più male che bene all’economia degli Usa.

Ce lo dirà il futuro, anche se qualche avvisaglia forse la si può già intravvedere nella reazione dei mercati.

Si sa infatti che l’economia americana, almeno sulla carta, è la più aperta al mercato e alla libera concorrenza, e da quelle parti è completamente assente il concetto di “partecipazione statale” tanto caro a certa cultura politica della vecchia Europa.

Ciò non vuol dire che il Governo ed il Congresso degli Stati Uniti non influenzino l’economia, con gli strumenti della politica monetaria e fiscale, dei finanziamenti, della legislazione e dalla regolamentazione federale a livello microeconomico.

Ma alla fine della fiera il primo termometro per capire come va l’economia negli States è quello delle Borsa, di Wall Street.

E l’andamento della Borsa americana ad un mese e mezzo dal suo insediamento a Washington, mostra chiaramente che le cose non stanno andando come previsto dagli analisti,  e sperato dagli elettori.

Forse ricorderete che in un mio pezzo del 31 gennaio scorso (https://www.tviweb.it/wilma-dammi-la-clava-i-dazi-di-donald-trump/) vi avevo intrattenuto sul fatto che i dazi sono materia da trattare con estrema delicatezza,  perché un incremento delle tariffe  (sempre a carico degli importatori) normalmente fa salire il costo delle merci importate, con conseguente aumento dei prezzi per i consumatori, e quindi dell’inflazione. 

Questo principio, noto agli studenti di economia fin dal primo anno, non poteva certo sfuggire agli operatori di Wall Street, e così i timori dei mercati sono emersi in modo lampante soprattutto nell’ultima settimana, quando gli annunci schizofrenici della Casa Bianca sui dazi hanno fatto crollare i listini, e creato un clima di forte incertezza. 

Si sa che l’incertezza è la principale nemica dei mercati; figuriamoci se i go and stop sui dazi, le rodomontate, i colpi di testa sulle alleanze, non potevano allertare i guru della finanza, indotti così a pensare che la crescita economica sia destinata a rallentare, l’occupazione a diminuire,  e c’è chi teme addirittura che gli Stati Uniti stiano andando verso la recessione.

Anche volendo minimizzare, non si può certo nascondere che per il più importante mercato azionario del mondo il timore degli operatori è emerso in modo lampante soprattutto nell’ultima settimana, dando vita ad un trend fortemente negativo. 

Tanto da aver fatto scrivere al New York Times che la perdita del 3,4% registrata negli ultimi giorni è la più grave dal settembre scorso.

Ma non ha lesinato le sue critiche neppure il Wall Street Journal, la Bibbia degli operatori di Borsa, che in un editoriale dello scorso 6 marzo ha accusato Trump di “trattare l’economia come un giocattolo personale, mentre i mercati ruotano a ogni capriccio presidenziale”.

A dirla tutta, quella che Trump considera l’arma finale, appunto i dazi, lui l’ha gestita nel caos più totale, applicando le tariffe per poi sospenderle, molto probabilmente, almeno così si sussurra fra i maligni, perché qualcuno gli ha fatto notare che una delle conseguenze sarebbe stato un consistente aumento del prezzo dei Suv e dei Pick-up, quei macchinoni di alta cilindrata particolarmente amati dagli americani, e dagli elettori repubblicani in particolare.

Non proprio un esempio di coerenza e di linearità politica!

Particolare gustoso quello secondo cui, quando i giornalisti gli hanno chiesto se il rinvio dei dazi fosse dovuto al crollo della Borsa americana, il presidente ha negato in modo categorico affermando sprezzante: «Non li ho nemmeno guardati i mercati»

Roba da Pinocchio! Perché credo sia evidente che sia stata proprio la preoccupazione dei cittadini, delle imprese e di Wall Street, ad aver indotto la Casa Bianca a più miti consigli.

E per rendersi conto che quelle preoccupazioni fossero fondate basta riandare al 4 marzo (giorni di entrata in vigore dei dazi contro Canada e Messico, poi immediatamente rinviati), giorno in cui a Wall Street (indiceS&P 500) sono evaporati tutti i guadagni accumulati dalle elezioni del 5 novembre, bruciando la cifra stratosferica di 3.400 miliardi.

Nello stesso giorno c’è stato il parallelo crollo delle Borse europee, seguito dal rimbalzo del giorno dopo a seguito dell’annuncio del piano di spesa per il riarmo. 

Questa situazione ha indotto gli analisti a rivedere al ribasso le previsioni sull’andamento dell’economia Usa per quest’anno, e addirittura la Federal Reserve Bank di Atlanta si è sbilanciata ipotizzando un calo del Pil nel primo trimestre di quest’anno del 2,8% su base annua.

Quello dei dazi è un evidente caso di eterogenesi dei fini, perché il motivo dell’imposizione degli stessi secondo Trump è sì quello di fare cassa, ma soprattutto quello di indurre le imprese a produrre di più negli Usa, ed in sé non si tratta di un proposito negativo.

Ma non puoi dire agli Industriali “producete di più” se contemporaneamente vuoi deportare gli immigrati irregolari, che nel bene e nel male sono coloro che tengono in piedi l’edilizia, l’agricoltura e il turismo, tre settori che dipendono in buona parte dalla manodopera straniera.

A meno che Trump non sia arrivato ad un tale livello di demenza senile da immaginare che i rampolli dell’America bianca e ricca possano accettare di andare a raccogliere pomodori o a servire ai tavoli dei fast food!

Se poi, nell’ansia di ridurre il bilancio federale, metti in mano a Elon Musk l’arma dei licenziamenti di massa dei dipendenti pubblici, la frittata è fatta; perché ciò non potrà portare ad altro che ad un aumento della disoccupazione, e ad una contrazione dei consumi. 

Mostrando poi di essere quello che è, vale a dire un imbroglione, nella sua ansia di eliminare qualsiasi forma di controllo Trump ha deciso di sciogliere due comitati di tecnici indipendenti che affiancavano il governo nell’analisi dei dati sull’economia: il Federal Economic Statistics Advisory Committee e il Bureau of Economic Analysis Advisory Committe.   Entrambi i comitati collaboravano con le agenzie federali da oltre vent’anni.

Se a questo aggiungiamo che, secondo alcuni, il Tycoon avrebbe in animo di manipolare le statistiche Usa per nascondere un eventuale rallentamento dell’economia, e che ha legalizzato una riserva strategica di bitcoin, ed un’altra parallela composta da altri token (di cui vi parlerò a breve),  direi che le Trumpnomics sono solo all’inizio.

Chiudo queste brevi riflessioni con una constatazione.

Trump, sulla scia della sua politica di “America First” ha fatto del protezionismo economico il suo mantra, non rendendosi conto che la sua più grande vulnerabilità  in una nuova guerra commerciale con il mondo intero, sta proprio nell’ oligarchia altamente internazionalizzata di individui ultra-ricchi che lo circondano e almeno finora lo sostengono,  le cui fortune dipendono da una base di consumatori globale. 

Ecco perché, a mio avviso, la cosa migliore che i Paesi colpiti da tariffe punitive dovrebbero fare sarebbe quella di condizionare l’accesso al mercato per le multinazionali a stelle e strisce,  sottoponendo ovviamente  i miliardari  che le possiedono ad una tassazione equa.

Per il resto ragazzi, mo’ so’ dazi vostri!

Umberto Baldo

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