Il Cile sceglie l’uomo d’ordine: quando la paura batte la memoria

Umberto Baldo
Può sembrare paradossale, ma in questa fase storica, sotto qualunque cielo, le elezioni si giocano sempre sugli stessi tre temi: sicurezza, immigrazione, spesa pubblica.
Cambia l’ordine delle priorità, cambia la retorica, ma il menù è quello.
E’ accaduto così anche nei giorni scorsi in un Paese lontano, una lunga striscia di terra incastonata tra le Ande e l’Oceano Pacifico: il Cile.
Un Paese che per diciassette anni, dal 1973 al 1990, ha rappresentato una ferita aperta per le democrazie occidentali.
Chi ha qualche capello grigio ricorderà bene le manifestazioni di allora; gli slogan contro il “boia di Santiago”, il nome di Augusto Pinochet scandito come sinonimo di dittatura, torture, desaparecidos, e le canzoni degli “Inti Illimani” a fare da sfondo. Una in particolare mi risuona ancora nelle orecchie: “El pueblo unido jamàs sera vencido”.
Noi europei siamo stati a lungo abituati a guardare l’America del Sud come ad un “continente da operetta”: instabile, pittoresco, facilmente manovrabile.
In parte lo è stato davvero, anche grazie alle pesanti ingerenze della CIA.
Ma oggi quel continente è cambiato.
Resta povero sotto molti aspetti, ma è ricchissimo di materie prime e di potenzialità strategiche.
Non a caso la Cina sta tentando una progressiva penetrazione economica e politica.
Certo il Dragone dovrà fare i conti con gli Stati Uniti, che continuano a considerare ancora valida la vecchia dottrina Monroe.
Ma questo è un capitolo dell’immediato futuro.
Oggi parliamo del Cile per un motivo preciso.
José Antonio Kast, candidato ultraconservatore del Partito Repubblicano, espressione dell’estrema destra, è stato eletto presidente con il 58% dei voti, sconfiggendo nettamente la candidata della sinistra Jeannette Jara, figura di primo piano del Partito Comunista cileno, fermatasi al 42%.
In estrema sintesi, il programma di Kast ricalca – con adattamenti locali – quello di Donald Trump e dell’argentino Javier Milei.
Immigrazione e sicurezza sono stati i suoi cavalli di battaglia, declinati con toni duri, senza sfumature.
Su questi temi Kast è perfettamente allineato alla nuova destra che sta avanzando in tutto il continente americano.
C’è un elemento tecnico che merita attenzione: in Cile il voto è stato reso obbligatorio. Questo ha portato alle urne circa cinque milioni di cittadini che solitamente disertavano i seggi, consentendo a Kast di superare i sette milioni di voti, e di diventare il Presidente più votato nella storia del Paese.
Le sue promesse sono state semplici e brutali: esercito alle frontiere contro i migranti, espulsioni di massa di venezuelani e colombiani irregolari, nuove carceri sul modello del Salvador di Nayib Bukele.
E hanno funzionato.
Scusate se insisto, ma il fatto che queste ricette consentano di vincere le elezioni ovunque – a nord e a sud, in America come in Europa – dice moltissimo sulla nostra epoca.
E dovrebbe far riflettere chi continua a pensare che “porte aperte” e lassismo sulla sicurezza siano ancora messaggi elettoralmente spendibili e vincenti.
Kast è anche un ultraconservatore nel senso più classico del termine: padre di nove figli, ostile ai diritti delle donne e alle istanze civili.
Ma durante la campagna elettorale ha abilmente messo questi temi tra parentesi.
Figlio di un immigrato tedesco che aveva fatto parte del partito nazista, Kast si definisce prima di tutto un “uomo d’ordine”.
Ed è esattamente questa immagine che gli ha permesso di vincere.
Una lezione per il Cile, certo. Ma a mio avviso anche per il resto del mondo.
Colpisce, in particolare, il consenso ottenuto tra i giovani.
I sondaggi mostrano che molti elettori tra i 18 e i 35 anni hanno visto in Kast “l’unico capace di mettere fine alla delinquenza”, senza grandi distinzioni ideologiche, stanchi dell’immigrazione incontrollata e profondamente preoccupati per la crisi economica.
A loro Kast ha promesso soluzioni rapide e drastiche.
La candidata di sinistra, Jeannette Jara, pur cercando di prendere le distanze dal presidente uscente Gabriel Boric, ha puntato sui temi classici delle sinistre: salario minimo, sanità, diritti sociali, tutela dei più deboli.
Vi suona familiare?
Il problema è che Jara non è riuscita a scalfire quel muro di paura ed insicurezza che la destra sa costruire e maneggiare ovunque per aggregare ceti sociali molto diversi tra loro.
A questo punto qualcuno di voi potrebbe chiedersi: ma cosa vedi di così sconvolgente nell’elezione di un presidente di destra in un Paese sudamericano?
La risposta è una sola: la storia.
Perché cinquantun anni dopo il colpo di Stato militare di Augusto Pinochet contro Salvador Allende, il Cile ha eletto un uomo che non ha mai nascosto la propria nostalgia per quella stagione.
Nel 2017 Kast dichiarò apertamente che, se Pinochet fosse stato ancora vivo, avrebbe votato per lui.
Ed è destinato a diventare il primo Presidente cileno ad aver votato, nel 1988, per il prolungamento del mandato del dittatore nel referendum che mise fine alla dittatura.
Comunque la si guardi, si tratta di una frattura simbolica profonda.
A mio avviso, però, la vittoria di Kast è soprattutto il frutto della “delusione” dei cileni.
Dal ritorno alla democrazia, l’11 marzo 1990, al 2025, il Cile ha avuto sei presidenti (con Bachelet e Piñera rieletti).
In questi trentacinque anni il Paese ha recuperato le libertà politiche e si è modernizzato, ma non ha risolto i suoi nodi strutturali: un sistema economico iniquo, una società paternalista e autoritaria, una minoranza mapuche discriminata e spesso repressa.
Nel dicembre 2021 le speranze si concentrarono su Gabriel Boric, eletto con il 56% dei voti.
La stampa internazionale lo celebrò come il leader più progressista dai tempi di Allende.
Le sinistre di mezzo mondo lo investirono del ruolo di grande riformatore.
Boric si insediò l’11 marzo 2022, ma già nel primo anno di governo incassò due bocciature pesantissime: il fallimento della nuova Costituzione e quello della riforma fiscale destinata a finanziare il suo progetto sociale.
In sintesi, tra le grandi aspettative e la realtà del governo si è aperto un vuoto. È scomparsa l’idea stessa di un progetto di trasformazione profonda, di superamento del neoliberismo.
E quando cadono le illusioni, a prevalere sono sempre i temi securitari.
Lo ripeto da tempo: su sicurezza e immigrazione si vinceranno o si perderanno le elezioni anche in Europa.
E credetemi, l’Italia non fa eccezione.
Umberto Baldo













