4 Novembre 2025 - 8.31

Referendum: sarà l’ennesimo derby all’italiana?

Torno anche oggi sul tema del referendum sulla separazione delle carriere. Non perché mi diverta particolarmente, e neppure per analizzare nel dettaglio le tesi dei due schieramenti (ci sarà tempo fino alla primavera), bensì per fissare la posta “politica in gioco. 

Poi, promesso, da domani parleremo d’altro.

Come premessa, non fatevi abbindolare dalle chiacchiere che ci sommergeranno per mesi.

Fino allo sfinimento, da una parte ci racconteranno che si tratta di una riforma “tecnica”, pensata solo per migliorare la macchina della giustizia.

E dall’altra parte, che è un’operazione “politica”, un passo della maggioranza verso il controllo del potere giudiziario. Due copioni pronti all’uso, da recitare nei talk show fino alle ore piccole.

In realtà, nessuno dei protagonisti della scena italiana sembra voler affrontare il nodo vero: discutere nel merito, sui contenuti del quesito referendario.

Domande semplici, apparentemente: la separazione è necessaria? È coerente con la Costituzione o ne altera gli equilibri? Aumenta le garanzie per i cittadini o le riduce? Migliora i tempi della Giustizia?

Come vedete, domande semplici, ma scomode, perché non fanno audience.

Già vedo i sorrisini: ma davvero qualcuno crede che gli italiani voteranno su queste basi? 

Che si tratterà di un voto ragionato, tecnico, fondato sulla valutazione delle soluzioni proposte?

Come se in Italia fosse mai successo che un referendum tecnico restasse tale.

Macché. Tutto si ridurrà, come sempre, ad una scelta di campo: pro o contro il governo, destra o sinistra, Meloni o Schlein. 

È la solita polarizzazione da bar sport, che ci fa ridere dietro dall’Europa e dal mondo intero. Altrove si discute di guerra, di intelligenza artificiale, di commerci globali; noi siamo ancora qui a dividerci su Politica e Magistratura, come se nulla fosse cambiato dagli anni ’90.

Siamo fatti così: gli altri programmano il futuro, noi litighiamo sul passato.

Spero solo che gli italiani non si facciano illusioni: questo referendum sarà inevitabilmente l’ennesimo tassello nello scontro tra Governo e opposizione. 

E senza comprendere fino in fondo questa dinamica, molte sfumature della partita rischiano di sfuggire.

È facile prevedere che la maggioranza tenterà di accreditare il voto come un semplice “riordino”, una razionalizzazione degli assetti della Magistratura. 

Meloni, memore della batosta subita da Renzi nel 2016, farà di tutto per negare il carattere politico della consultazione.  In pratica: “non è un voto su di me!”.

Infatti, a scanso equivoci, ha già chiarito che, in caso di vittoria del No, non si dimetterà.

La vera novità, però, è dall’altra parte. 

L’opposizione sembra voler cambiare approccio.  Per anni la sinistra è rimasta “in trincea” a difesa della Magistratura come fosse una specie di santuario laico, e per questo è sempre stata accusata di giustizialismo. 

Ora, invece, sembra che Schlein e soci non punteranno tanto sull’aspetto giuridico, quanto su quello politico: il referendum come plebiscito “Meloni Sì o Meloni No”. 

Con il solito sottinteso apocalittico: “la Premier neofascista vuole prendersi i pieni poteri”.

E così il “Campo largo” proverà a trascinare alle urne anche gli elettori non di sinistra, ma semplicemente contrari al Governo. 

È presto per dire se la scommessa funzionerà, ma di certo è una mossa che può mettere in seria difficoltà la maggioranza, e Giorgia Meloni in una posizione scomoda.

Non sarà una partita facile, anche perché Forza Italia, con la trovata della “vittoria postuma di Berlusconi”, non aiuta. 

Meloni ha capito il gioco ed i rischi, e come accennato ha provato subito a sganciare l’esito del voto dai destini dell’esecutivo. 

Ma nel clima politico italiano, fatto di sfottò, provocazioni e botta e risposta quotidiani, sarà difficile tenere i toni bassi, e la Politica fuori del voto.

Servirà una notevole freddezza da parte della Premier: il sogno di Schlein, Conte, Fratoianni e Bonelli è quello di spingerla a fare l’errore che costò caro a Renzi: personalizzare il voto. 

E ricordiamolo: questa volta si tratta di un referendum confermativo, senza quorum. 

Si vince o si perde anche se va a votare solo il 20% degli elettori.

E poiché sarà quasi impossibile per il centrodestra restare sul terreno tecnico-giuridico, la tentazione di politicizzare il voto sarà inevitabile. 

Con tutti i rischi del caso. 

Perché i numeri non sono così solidi, e se le opposizioni riuscissero a mobilitare i cittadini contrari all’Esecutivo, il risultato finale potrebbe riservare più di una sorpresa.

E in Italia, si sa, ogni referendum finisce per diventare una resa dei conti, in cui ci si affida al vecchio istinto del “voto contro”. 
La partita è appena cominciata, ma c’è da scommettere che, fino al giorno del voto, non mancheranno colpi di scena e colpi bassi. 

Nella Repubblica di Pulcinella, del resto, ogni referendum è una battaglia di fede più che di ragione.

E così alla fine, invece di discutere di separazione delle carriere, oggettivamente difficile da spiegare a chi non ha un minimo di base giuridica, finiremo per separarci, ancora una volta, in tifoserie contrapposte.

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