SUICIDIO CANTONE – D’Ospina nel mirino delle critiche, “Giusto chiedere scusa, ma non sono responsabile”

PER ESSERE AGGIORNATO SULLE NOTIZIE DI CRONACA DI VICENZA ISCRIVITI AL GRUPPO FACEBOOK: SEI DI VICENZA SE… CRONACA E SICUREZZA
VICENZA – Minacciata di morte, stupro e chiamata assassina. E’ la vicenda che sta coinvolgendo Elisa D’Ospina, vicentina 33enne, di professione giornalista, la quale nel maggio 2015 aveva raccontato in un articolo apparso ne Il Fatto Quotidiano la storia di Tiziana Cantone, la napoletana 31enne morta suicida martedì scorso probabilmente per il peso della vergogna causata da alcuni video hard di cui era protagonista, pubblicati in rete da alcuni amici.
Da un pezzo in cui si chiedeva se quei filmati fossero la «rivendicazione di un amante o marketing di una futura pornostar», all’indomani del suicidio della Cantone la D’Ospina ha twittato un commento che l’ha catapultata nella fossa dei leoni. «La storia di Tiziana – scrive – è l’esempio di quanto in fondo siamo schiavi del giudizio altrui e mai realmente liberi».
Non hanno taciuto gli utenti del web, attaccando la giornalista e accusandola di finto moralismo, mentre la testata ha provveduto ieri a cancellare il fatidico pezzo pubblicato il 22 maggio 2015, sostituendolo con un messaggio di scuse del direttore Peter Gomez: «Sbagliando avevamo trattato la cosa come una sorta di fenomeno di costume e avevamo come altri ipotizzato che la vicenda potesse essere un’operazione di marketing in vista del lancio di una nuova attrice. L’errore commesso è evidente e innegabile. Non eravamo davanti a un caso di costume, ma a un caso di cronaca e come tale andava trattato e approfondito. Abbiamo sbagliato, siamo stati negligenti».
Anche la D’Ospina ha commentato l’accaduto, senza tuttavia rinnegare il proprio operato. «Mi dispiace tantissimo per quello che è successo a Tiziana – spiega ai microfoni del Giornale di Vicenza – È stata una vittima del cyberbullismo, esattamente come lo sono io ora. Nel mio pezzo mi ero limitata a riportare quello che era apparso sul web, raccontando quello che veniva pubblicato. La stessa cosa che ho fatto io l’hanno fatta tanti altri colleghi di altre testate. La differenza è che noi abbiamo chiesto scusa, gli altri si sono limitati a cancellare gli articoli. Adesso al centro della macchina del fango ci sono solo io. Mi occupo di bullismo da anni – prosegue la D’Ospina -, non mi permetterei mai di essere io l’arma che lo pratica. Non l’ho fatto nemmeno nel mio articolo del maggio 2015, dove mi sono limitata a raccontare i fatti di quel fenomeno virale. Nient’altro. Dai famigliari di Tiziana non abbiamo mai ricevuto nessuna mail, nessuna citazione in giudizio per il mio pezzo, come invece è capitato ad alcuni siti e social. Non credo di avere nessun tipo di responsabilità per quello che è successo. Ma è giusto chiedere scusa. Condivido una per una le parole di Peter Gomez. Sicuramente non siamo meglio di altri, ma almeno non abbiamo nascosto la testa sotto la sabbia, cancellando nella notte, come tanti altri, i pezzi più pesanti che veicolavano anche al video. Siamo tutti complici – conclude – lo sono io ma lo sono anche quelli che mi minacciano, augurandomi di essere stuprata o la morte. Questo atteggiamento non fa quelle persone migliori di me. Anzi”.
Di P.G.enne













