Scatta la protesta: “Turisti, tornatevene a casa. E portatevi via anche i trolley rumorosi!”

Umberto Baldo
Se avete deciso di organizzare una vacanza in qualche città europea per domenica prossima, 15 giugno, dovreste mettere in conto di ricevere almeno una schizzata d’acqua sulla maglietta.
Già, perché domenica l’Europa del Sud si ribella.
Basta cartoline patinate e hashtag zuccherosi: stavolta a parlare saranno pistole ad acqua e slogan gridati in faccia ai vacanzieri.
La rete Southern European Network against Turification, una coalizione di oltre 60 gruppi di attivisti, ha deciso di passare all’azione, coordinando proteste in Spagna, Italia, Francia e Portogallo contro la turistificazione selvaggia che sta svuotando i centri storici, alzando i prezzi, espellendo i residenti e uccidendo ogni traccia di vita autentica.
In decine di città d’Europa – quelle che contano qualcosa, quelle finite da anni nelle liste dei “posti imperdibili” di TripAdvisor – la gente scenderà in strada con le pistole ad acqua.
No, non è Carnevale. È l’inizio della controffensiva civile contro l’invasione pacifica (ma devastante) del turismo di massa.
Bilbao, Barcellona, San Sebastián, Maiorca, Genova, Napoli, Venezia, Lisbona, Marsiglia; località simbolo, ma anche bersagli mobili di una colonizzazione economica che ha una sola parola d’ordine: “spremere il luogo fino all’osso, e poi passare al prossimo”.
Case convertite in B&B, botteghe storiche rimpiazzate da negozi di calamite, prezzi folli, rumore, sporcizia e una quotidianità che diventa impossibile per chi ha l’ardire di vivere ancora in centro città.
A Venezia, su 49.000 residenti, gli Airbnb registrati sono oltre 8.000.
A Lisbona, nel quartiere dell’Alfama, gli affitti turistici hanno superato gli affitti residenziali.
A Barcellona, 2 milioni di abitanti sopportano più di 30 milioni di turisti l’anno, con un sindaco che cerca disperatamente di mettere un freno mentre i Ministeri nazionali fanno spallucce e incassano.
La Grecia non è ancora scesa in piazza, ma ci arriverà.
Le isole, da Santorini a Mykonos, sono al collasso. Mancano risorse, manca acqua, manca il personale sanitario.
Eppure le crociere continuano a sbarcare ogni giorno migliaia di turisti in ciabatte, mentre gli abitanti fuggono o si rassegnano a lavorare per pochi spicci come comparse in un grande Truman Show vacanziero.
Badate bene che quello di domenica non è non è folklore. Non è folklore affatto!
È rabbia vera, legittima, cresciuta giorno dopo giorno davanti a un sistema che ha trasformato le città in parchi tematici per vacanzieri bulimici, attratti più dal selfie sul ponte o dalla birra economica che da una reale voglia di capire i luoghi che attraversano.
Bilbao, le Canarie, San Sebastián, Ibiza, Barcellona, Napoli, Venezia, Lisbona, Marsiglia: la mappa delle proteste è una mappa del malessere.
Un grido di allarme che unisce pescatori sfrattati, studenti fuori sede espulsi dal mercato degli affitti, anziani isolati nei palazzi vuoti invasi da Airbnb.
La gente è incazzata nera perché da Madrid, a Parigi a Lisbona, i Ministri del turismo contano gli arrivi e sorridono.
Sorridono mentre i residenti vengono scacciati a vivere a cinquanta chilometri dal centro.
Sorridono mentre il biglietto dell’autobus raddoppia, mentre una pizza margherita arriva a costare 18 euro perché “tanto gli svedesi pagano”.
E’ così anche in Italia, dove mentre la protesta si allarga, la politica resta in silenzio. O peggio: esulta. La ministra Santanchè – che probabilmente non ha mai preso un autobus affollato da turisti alle otto del mattino – gongola per i record di arrivi. “+X% di presenze!”.
E chissenefrega se intanto il cittadino di Palermo non riesce più a trovare un medico di base perché i professionisti scappano.
O se a Rimini una famiglia deve litigare con un b&b per avere due metri di spiaggia libera.
Lo vogliamo dire che non è crescita, questa!
Che si tratta di colonialismo travestito da globalizzazione, e chi lo subisce comincia a non farcela più.
La misura è colma. Non si può più tollerare che la qualità della vita venga sacrificata sull’altare dell’experience turistica, che la dignità delle città venga barattata con un misero +1% del PIL.
Serve un cambio di rotta radicale: tetti agli arrivi, moratorie sugli affitti brevi, tasse di soggiorno vere, e una politica europea che metta al centro chi nei luoghi ci vive e non chi li consuma per 48 ore con lo zaino in spalla e la guida Lonely Planet in mano.
Siamo alla turistocrazia, dove conta più il selfie di un canadese davanti al Duomo di Milano che la possibilità per un lavoratore lombardo di trovare un affitto decente. Dove un francese a Ibiza può ballare tutta la notte, mentre un infermiere di Palma di Maiorca dorme in auto perché gli stipendi non bastano neppure per una stanza.
Il turismo, quello vero, è conoscenza, incontro, rispetto.
Questo, invece, è solo fast food globale in infradito.
È estrattivismo culturale, è consumo di luoghi.
E i luoghi, come le persone, si rompono se li usi senza rispetto.
Perciò sì, stavolta i turisti gli attivisti li prenderanno a gavettoni.
Ma non è uno scherzo. È un avviso. Un “basta” lanciato in faccia a chi pensa che l’Europa del Sud sia un grande villaggio vacanze low cost.
E se i politici tutti insieme non cominceranno a porre limiti, regolare gli affitti brevi, tutelare i residenti, imporre vere tasse di soggiorno, allora sì: la rabbia crescerà.
E le proteste, si sa come iniziano… ma non si sa mai dove vanno a finire.
Del resto, che senso ha parlare di Green Deal, di transizione ecologica, di città “resilienti”, se poi le città diventano solo luna park a cielo aperto, svuotate di comunità, ridotte a sfondo per storie su Instagram?
La sostenibilità non è solo ambientale. È anche sociale. È fatta di scuole, negozi di quartiere, trasporti pubblici, case con luci accese tutto l’anno.
Se non proteggiamo la vita vera nei luoghi, resteranno solo gusci vuoti.
E allora a quel punto i turisti potranno restarci pure, nei nostri centri storici.
Ma non troveranno più nulla da vedere.
Umberto Baldo