RAPINA DI NANTO – “Io non sto con Stacchio”, massascrata sui social
Ha lanciato l’hastag su twitter ‘Io non sto con Stacchio’ ed ha pubblicato un lungo articolo sull’Huffington post. Deborah Dirani (‘donna prima giornalista poi’, così si definisce) dal titolo “Io non sto con Stacchio il Veneto non è il Far West”. Una posizione controcorrente che ha scatenato una marea di reazioni. Scorrendo i commenti all’articolo su facebook e i tweet di risposta all’hastag ci si rende conto di quanto la vicenda di Graziano Stacchio abbia appassionato gli italiani. Inutile dirlo, le tesi esposte da Deborah Dirani attirato l’ira di diversi lettori. Prese di mira le sue tesi, che potrete leggere nell’articolo integrale che pubblichiamo qui sotto. La Dirani definisce cialtroneschi i banditi di Nanto (forse dimenticando che imbracciavano kalashnikov). Molti contestano una certa superficialità buonista nelle parole della Dirani. Molti la accusano di essere distante anni luce dalla realtà. Molti altri le augurano di trovarsi in una situazione simile a quella della commessa o di Stacchio. Altri ancora, più semplicemente, la accusano di voler farsi pubblicità semplicemente andando controcorrente, ma senza metterci troppa intelligenza. Non sta a noi commentare. La Dirani afferma che dietro la solidarietà si nasconderebbe un incitamento alla violenza inaccettabile. Afferma poi che bisogna lasciare alle forze dell’ordine il compito di vigilare sulla nostra sicurezza. Non commenteremo la qualità o la profondità dell’articolo, ma lasceremo questo compito ai lettori, se vorranno leggerlo. Di sicuro sembra aver diviso l’opinione pubblica e, basandoci sulla poca scientificità della conta dei commenti, sembra aver diviso i suoi lettori in una piccola fetta che condanna la reazione di Stacchio e in una grande fetta che lo giustifica.
Ecco l’articolo intergarle:
Chi uccide un altro essere umano non è mai un eroe. In nessun caso, a maggior ragione se lo ha fatto per sbaglio e di quello sbaglio risponderà alla legge e alla sua coscienza. Chi spara sa quello che fa, sa che le conseguenze della sua azione potrebbero rivelarsi ben più gravi di quanto ipotizzi premendo un grilletto. Chi rompe paga, e i cocci, purtroppo, sono suoi.
Non può essere legittimato, almeno nel mio paese, un uomo che si difende sparando. Anche se ha un fucile legalmente detenuto, anche se è lui per primo vittima degli spari di un gruppo di rapinatori cialtroneschi. Se lo fosse non sarebbe l’Italia: sarebbe il Far West. E nel Far West quella che vigeva era la legge del più forte, di quello che aveva la mira migliore, quello più veloce a estrarre la pistola dalla fondina.
Chiunque oggi innalzi quel benzinaio a eroico giustiziere, in una discutibile logica del chi fa da sé fa per tre, non capisce che Dottor Jeckyl e Mr Hide erano le due facce della stessa medaglia, erano la traduzione letteraria di un bipolarismo che in un paese civile non può essere ammesso. Per nessuna ragione. Il rischio che si corre, legittimando politicamente quello che è accaduto in Veneto, è autorizzare (più o meno consapevolmente) ogni cittadino a impallinare chiunque violi la sua proprietà.
Ci sono poliziotti e carabinieri e giudici e legislatori chiamati a tutelare i diritti di ognuno, non servono revolver e furore. E non vale l’attenuante dell’esasperazione che arma la mano delle persone perbene: pacifici cittadini che in un giorno di ordinaria follia si fanno giustizia da sé.
Non vale nemmeno la scusa di uno Stato distratto, della burocratica lentezza (dovuta ad una garantista presunzione d’innocenza) dei tribunali e della scaltra intelligenza di bravi avvocati.
Perché poi, a voler essere onesti, coloro che oggi hanno fatto di questo assassino per errore l’eroe dell’operoso Triveneto, sono gli stessi che invocano il rispetto delle leggi da parte di tutti, in primo luogo di tutti gli altri. Come se a loro spettasse il compito di stabilire quando è giusto e quando non lo è rispettare quella serie di norme alle quali siamo tutti sottoposti. Come se esistesse una sospensiva del Codice Penale se a imbracciare un fucile e uccidere un essere umano è qualcuno che loro reputano legittimato a farlo.
Nei messaggio di solidarietà a un uomo che ne ammazza un altro si nasconde, e neanche tanto bene, un incitamento alla violenza inaccettabile da un privato cittadino, inammissibile da un personaggio politico. È una questione di responsabilità e se chi mi amministra, o ambisce a farlo, non ne è dotato che si dedichi ad altro. Non a gettare il mio paese e la mia vita nella confusione di un’anarchica giustizia secondo la quale io ho il diritto di difendermi da sola.
Io non voglio difendermi da sola: io voglio essere difesa dalle persone che hanno il dovere di farlo. Io non voglio che in Italia chi uccide un uomo, anche per errore, diventi un eroe nazionale. Io non voglio che i rapinatori finiscano ammazzati per strada, circondati da un’aureola di sangue. Io voglio che vengano arrestati, processati e condannati a una pena insindacabile.
Io non voglio che la rabbia trasformi l’Italia in un Far West dove una serie di improbabili sceriffi piantano i loro sudici stivali sul diritto alla vita di ognuno di noi.














