13 Luglio 2022 - 8.36

PILLOLA DI ECONOMIA – Ci vendiamo l’euro

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di Umberto Baldo

Inutile negarlo; i simboli esistono, e basano il loro effetto sulla loro intrinseca capacità evocativa.

Un simbolo può essere una statua, strumento spesso caro ai dittatori, un  manufatto come la Torre Eiffel che ha finito per essere l’immagine di Parigi, o il Colosseo per Roma.

Capite bene che l’elenco potrebbe essere infinito.

Indubbiamente anche l’euro, la moneta unica europea, ha il suo simbolo monumentale, e si tratta di una statua alta 14 metri e pesante oltre 50 tonnellate che è stata realizzata nel 2001 su progetto dell’artista tedesco Ottmar Horl, con il chiaro intento di celebrare l’adozione della moneta dell’Europa comunitaria, e che venne posizionata dinanzi alla sede della Banca Centrale Europea a Francoforte sul Meno, che allora era l’Eurotower.

Anche se non l’avete vista di persona state certi che vi è capitata sotto gli occhi innumerevoli volte quell’immagine con il simbolo dell’euro di colore blu, circondato da 12 stelle gialle.

Se non che, ad un certo punto alla Bce si accorsero  che l’Eurotower gli andava stretta, per cui nel 2015 venne inaugurata la nuova sede della Banca Centrale, dove si trasferirono in massa tutti gli uffici.

La scultura di Horl però rimase dov’era stata posizionata all’inizio, cioè davanti all’Eurotower.

Uno si sarebbe aspettato che, dato appunto il suo l’innegabile valore simbolico, sarebbe stata curata dall’apparato delle Istituzioni comunitarie.

Invece nei giorni scorsi l’inglese The Teleghaph ha reso noto che verrà messa in vendita.

La motivazione ufficiale alla base di tale scelta “drastica” sarebbe il costo troppo elevato della sua manutenzione, anche a causa degli imbrattamenti e dei ripetuti atti di vandalismodi cui l’emblema della moneta unica è stato fatto bersaglio negli anni.

La “Frankfurt Culture Committe”, vale a dire l’organizzazione no profit che si è assunta l’onere di manutenere la scultura negli ultimi tempi, ha ritenuto decisamente troppo pesanti le spese di gestione dell’emblema che, stando a quanto riferito sempre dal Telegraph, hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 250mila euro l’anno.

Manfred Pohl, il responsabile della manutenzione, ha sottolineato sconsolato al Telegraph come su 110 aziende contattate per proporre una sponsorizzazione, 90 non hanno nemmeno risposto.

Prima di arrivare alla decisione di gettare la spugna si è tentato un po’ di tutto.  Nel 2015 vennero ad esempio tagliati i costi, illuminazione compresa, sostituita con dei fari a Led.

Ma una volta andati a vuoto i tentativi di coinvolgere quali finanziatori Banche, Operatori economici  ed Istituzioni comunitarie (né i rappresentanti della BCE, che finora contribuiva alle spese per15.000 euro, né la Città di Francoforte o il Ministero delle Finanze si sono mai fatti vivi ai tavoli creati appositamente per discutere della questione), non rimane che  il triste epilogo della vendita di uno dei simboli del cuore finanziario, e anche politico, del Continente.

L’asta per la vendita al migliore offerente della scultura di Francoforte è in programma nel mese di ottobre.

Al momento, secondo i responsabili della scultura, citati dal Telegraph, sarebbero arrivate già alcune offerte, anche se solo in autunno si conoscerà il destino dell’ex simbolo della moneta unica.

Chissà se andrà a finire nel giardino di qualche magnate arabo, o se magari se la prenderà Putin per dimostrare di aver “affossato” l’euro?

Fin qui i nudi fatti.

Ma la vicenda non può a mio avviso essere liquidata come un normale fatto di cronaca, buono per un trafiletto sui media, magari evocando il classico “sic transit gloria mundi”.

Perché è paradossale che questa Europa che tenta giustamente di legare i propri cittadini ad alcuni simboli, dalla bandiera all’inno, faccia fatica a mantenere una scultura che nel bene e nel male rappresenta il primo tentativo nella storia di dar vita ad una moneta comune per centinaia di milioni di europei.

Caspita, parliamo di 250mila euro l’anno, che messi a confronto con il bilancio comunitario, con quello della Bce, con le ingenti spese per mantenere sedi faraoniche, europarlamentari ed euroburocrazia, definire “argent de poche” è addirittura riduttivo ed imbarazzante.

Già imbarazzante, credo sia questo l’unico aggettivo che descriva questo disinteresse, questa incapacità della Ue di tirare fuori pochi spiccioli per salvare quello che dovrebbe essere percepito come uno dei propri simboli più evocativi.

Veramente una brutta pagina.

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