Overtourism? Non rompete le p…e: venite a Vicenza!

Di Alessandro Cammarano
Venezia e Verona: due dive stanche, che vivono di rendita e di turismo di massa. La prima, la Serenissima, non ha più nulla di sereno: calli stipate come metropolitane all’ora di punta, gondole ridotte a autobus galleggianti, caffè in piazza San Marco a prezzi da gioielleria.
La seconda, la città di Giulietta, è ormai prigioniera di un mito hollywoodiano e farlocco: migliaia di visitatori in fila sotto un balcone finto che Shakespeare non ha mai nominato, mani appoggiate sul seno di una statua di bronzo “porta-fortuna”, bigliettini amorosi incollati ovunque.
Il risultato è sempre lo stesso: residenti esasperati, identità snaturata, atmosfere più da luna park che da città d’arte.
È la malattia dell’overtourism, quella che trasforma il viaggio in un esercizio di sopravvivenza. Ma se Venezia è la diva capricciosa e Verona la star romantica, in Veneto c’è una sorella minore che non ama gli effetti speciali e preferisce parlare sottovoce. Si chiama Vicenza.
I vicentini portano con autoironia il loro soprannome: “magnagati”, un nomignolo nato da leggende di carestie e pietanze alternative, che oggi è più un marchio identitario che un insulto. In realtà, di gatti nei piatti non se ne sono mai visti, ma la fama resta e contribuisce al carattere ironico e concreto della città. Una città che non si mette in mostra, ma che ti conquista piano, passo dopo passo.
Vicenza non ha bisogno di gridare per farsi notare.
Cammini in Piazza dei Signori, alzi gli occhi e ti ritrovi davanti la Basilica Palladiana, capolavoro di Andrea Palladio, elegante e monumentale ma senza fronzoli, e poi ti giri e gli occhi cadono sulla Loggia del Capitaniato per poi correre fino al Palazzo del Monte e alla chiesa di San Vincenzo.
Pochi passi lungo Corso Palladio, il Teatro Olimpico: il primo teatro stabile coperto della storia moderna, con scenografie lignee che simulano intere strade di Tebe.
È un luogo che sembra uscito da un sogno rinascimentale, eppure lo visiti in silenzio, senza sgomitare, senza cronometrare la tua permanenza.
E poi Palazzo Chiericati, oggi museo civico, con le sue sale luminose e le collezioni che raccontano secoli di arte. Tutto accessibile, vivibile, umano.
E appena fuori dal centro, tra le colline e i vigneti, ecco le ville palladiane, da Villa La Rotonda alle residenze di campagna disseminate nel territorio: architetture che hanno ispirato mezzo mondo e che qui si visitano ancora con calma, tra il canto delle cicale e il profumo delle vigne.
Vicenza non è un museo imbalsamato: è una città che si vive: il rito dell’aperitivo non è moda importata, ma tradizione radicata, e l’offerta enogastronomica, cresciuta negli anni è di altissima qualità: dal baccalà alla vicentina, piatto simbolo e rigorosamente servito con la polenta, ai bigoli “co’ l’arna”, ai risotti al tartufo dei Berici, al Broccolo Fiolaro.
Il vino, poi, è un capitolo a parte: il Tai Rosso dei Colli Berici, il Gambellara, il Vespaiolo di Breganze, il Durello con le sue bollicine minerali sono etichette che non hanno bisogno di marketing aggressivo per raccontare il territorio. Qui un calice non è un accessorio, ma parte della cultura quotidiana: si beve per socialità, per tradizione, per accompagnare piatti che sanno ancora di casa.
La differenza con Venezia e Verona è lampante: là ci si muove in processione, qui si passeggia senza fretta; là si cercano i ristoranti “autentici” tra un mare di menù turistici, qui la tradizione non ha mai lasciato la tavola. Là si paga il privilegio di una vista affollata, qui la bellezza è gratuita e diffusa.
Vicenza regala ciò che altrove si è perso: tempo. Tempo per fermarsi davanti a una facciata, per osservare un dettaglio architettonico, per assaporare un piatto senza l’assillo della fila, per vivere la città senza sentirsi parte di una folla indistinta. È un lusso raro, ed è proprio ciò che rende speciale questa città.
Alla fine, il turista di Venezia torna a casa con centinaia di foto tutte uguali; quello di Verona con un selfie sotto il balcone e un magnete da frigorifero a forma di cuore.
Il turista di Vicenza, invece, riparte con la sensazione di aver vissuto davvero: arte senza folla, cucina senza trappole, vini autentici, piazze che ti appartengono per qualche ora.
Vicenza è il segreto meglio custodito del Veneto: colta ma non pedante, elegante ma non ostentata, vivibile senza compromessi. Forse non resterà nascosta ancora a lungo.
E allora un avviso ai viaggiatori: se siete stanchi delle folle, tenetevelo per voi. Perché se lo raccontate troppo in giro, domani rischiamo di trovare code davanti al Teatro Olimpico e cuori appiccicati alle mura di Palazzo Chiericati.
E sarebbe un peccato: e poi i veri “magnagati” sanno che ai mici si riservano carezze e non “tecie”.













