Nudify. Pixel e perversione: l’era dell’erotismo sintetico

Umberto Baldo
Certo che non si finisce mai di imparare.
Ogni tanto inciampi in una parola nuova e capisci che il mondo è andato più avanti, o più indietro, di quanto sarebbe stato opportuno.
È capitato anche a me di recente con “nudify”.
A naso l’avevo intuito: quel “nud” sapeva di pelle nuda e pudore evaporato.
E infatti: “nudify” vuol dire spogliare digitalmente una persona, anche vestita e ignara, partendo da una sua foto.
Una magia tecnologica degna di Harry Potter, solo che al posto della bacchetta c’è un cretino col mouse.
Le app “nudify” sfruttano l’intelligenza artificiale per creare corpi falsi ma verosimili, trasformando qualsiasi donna in carne digitale da esposizione.
In poche parole queste app. sfruttano modelli di IA addestrati su enormi database di immagini per creare contenuti del tutto artificiali, ma estremamente realistici.
Con pochi click, chiunque può caricare una foto di una persona (spesso rubata da social o profili pubblici) e ricevere un’immagine alterata che simula nudità o pose compromettenti.
La vittima può trovarsi in una situazione di forte imbarazzo, ricatto o diffamazione senza nemmeno sapere che la propria immagine è stata manipolata.
Ma a differenza dei tradizionali deepfake (sono le app che consentono di modificare la morfologia del volto, invecchiarlo ecc.) le immagini “nudify” vanno a colpire direttamente la sfera sessuale e intima di una persona, con il rischio di alimentare nuove forme di cyberbullismo, revenge porn, sextortion (estorsione sessuale) ed umiliazione pubblica.
Tra le vittime più colpite ci sono ragazze giovani, studentesse, creator digitali e influencer, i cui volti sono facilmente reperibili online.
Bastano pochi scatti da un profilo Instagram o da una storia per essere bersaglio di questi strumenti.
Le immagini manipolate possono poi circolare in forum privati, canali Telegram, gruppi WhatsApp o siti pornografici. Il danno alla reputazione è incalcolabile.
Quindi avete capito; con un mouse chiunque può spogliare chiunque.
Non serve coraggio, non serve fascino, non serve nemmeno dignità: basta una connessione internet ed un’assenza totale di neuroni.
Le vittime, invece, quelle sì sono reali.
Come accennavo, ragazze comuni, studentesse, influencer, perfino minorenni: prese di mira per il solo fatto di essere visibili.
Le loro immagini finiscono in forum privati, canali Telegram, gruppi WhatsApp popolati da maschi che si credono “smanettoni” e invece sono solo guardoni digitali in crisi d’identità.
È la pornografia del codardo: quella che si consuma in solitudine, senza rischi, ma anche senza vergogna.
Come sempre accade per problematiche del genere il caso scoppia quando ad essere vittime sono donne famose, giornaliste, attrici, politiche ecc.
E così, a seguito della denuncia di Francesca Barra, improvvisamente scopriamo che esiste da tempo un forum chiamato SocialMediaGirls.
Attivo da oltre un decennio, con milioni di utenti, con sezioni dedicate a “spogliare chiunque”, persino con rubriche come “Italian nude vips”.
Dentro ci trovi, per fare qualche, esempio Ferragni, Balivo, Angelina Mango e persino Sofia Loren, come se l’IA potesse sostituire il tempo e la fantasia.
Una Disneyland del degrado umano, costruita con cura: server offshore, IP ballerini, protezione anti-DDoS ed un’utenza di fantasmi senza volto.
Sul piano legale, in Italia abbiamo leggi, regolamenti, garanzie, sanzioni.
Sulla carta.
Nella pratica, se il server è alle Isole Vergini, il Garante della Privacy può solo mandare un piccione viaggiatore.
E anche lui, probabilmente, non trova più il nido.
Il problema, però, non è solo tecnico. È morale e sociale.
Perché un Paese dove milioni di utenti passano il tempo a “spogliare” sconosciute col mouse ha un problema serio, e non di banda larga.
È l’ennesimo capitolo della rivoluzione digitale senza responsabilità, dove l’anonimato diventa licenza di offendere, e la tecnologia uno specchio della nostra miseria collettiva.
Non faccio il moralista, perché non lo sono, e non sono neppure un bacchettone.
So bene che a Pompei i lupanari erano pubblicizzati con disegni espliciti, ma almeno lì si pagava un servizio, non un’illusione.
E da adolescente, come tutti, avrò sbirciato anch’io qualche giornaletto un po’ osé.
Ma almeno lì c’erano foto di persone vere, non algoritmi travestiti da desiderio.
Oggi invece c’è chi si eccita davanti ad un’immagine finta di una persona che non ha mai voluto mostrarsi nuda.
C’è qualcosa di patologico, di malato, di disperato in tutto questo.
Lo capisco: la tentazione tecnologica è forte.
Uno può voler “nudificare” la capoufficio, la vicina di casa, la dentista… magari pure la suora del catechismo.
Ma la domanda resta sempre la stessa: “E poi?” Che te ne fai di un falso? Ma che gusto c’è?
Che soddisfazione può dare il guardare un corpo che non esiste?
È come mangiare una carbonara stampata in 3D o baciare un manichino.
Solo che in questo caso, mentre tu ti diverti, un’altra persona paga il prezzo della tua leggerezza.
E allora sì, ridiamo pure di questa umanità “nudificata”, che scambia un pixel per un petto, ed una fantasia per una conquista.
Ma dietro la risata resta il disgusto.
Perché nessuna intelligenza artificiale, per quanto evoluta, potrà mai restituire quello che una generazione intera sembra aver perso: la capacità di distinguere l’erotismo dal ridicolo, e la libertà dal disprezzo.
Mi verrebbe da dire che la vera nudità oggi non è quella dei corpi, ma quella dei cervelli; e quella, purtroppo, non c’è algoritmo che possa coprirla.
Quindi ai ragazzi (per gli adulti ritengo sia tempo perso) che giocano a spogliare col mouse do un solo consiglio: chiudete il computer e provateci con una ragazza vera.
È molto più difficile, ma anche infinitamente più umano.
Perché, credetemi, nessuna immagine, nessun algoritmo, nessuna IA potrà mai sostituire una serata vera, su una spiaggia vera, con una ragazza vera, possibilmente altrettanto interessata.
Il resto è solo onanismo digitale travestito da progresso.
Umberto Baldo













