La Sagrada Família: la vera “follia” di Barcellona

Quello di oggi è l’ultimo pezzo del nostro viaggio immaginario alla scoperta dei luoghi legati alla fede che rimangono sicuramente nella memoria di chiunque abbia modi di visitarli.
E non è un caso che abbia scelto come punto di arrivo Barcellona e la Sagrada Familla.
Forse per la mia età, o forse anche per carattere, Barcellona è la città spagnola che amo di meno.
Probabilmente per gli stessi motivi, al contrario ovviamente, che ne fanno invece una delle mete privilegiate del turismo soprattutto giovanile.
E’ la vita notturna in particolare ad attrarre i ragazzi, che si concentra in particolare in quartieri come il Barrio Gotico, la Barceloneta, Sant Antoni, Raval e El Born, che offrono una moltitudine di club e pub in cui divertirsi, ed anche sballarsi.
A mio avviso Barcellona “non si può definire”, perché è una città libera e creativa, che non ama le etichette.
In compenso ama la vita: è solare, fantasiosa, ghiotta, orgogliosissima delle proprie tradizioni, ma sempre al passo con i tempi, molto spesso anticipando nuove tendenze.
Ma Barcellona è anche la seconda città più popolosa della Spagna dopo Madrid, la cosmopolita capitale della Regione spagnola della Catalogna, da sempre in lotta per ottenere non solo l’autonomia, ma addirittura l’indipendenza.
E’ celebre anche per l’arte e l’architettura.
La basilica della Sagrada Família e gli altri stravaganti edifici progettati da Antoni Gaudí sono il simbolo della città, il Museo Picasso e la Fondazione Joan Miró espongono opere d’arte dei due famosi artisti moderni. il Museo di storia cittadina MUHBA raccoglie numerosi reperti archeologici di epoca romana.
Ma tornando alla nostra destinazione, arrivare davanti alla Sagrada Família è un po’ come trovarsi improvvisamente di fronte ad una montagna che non c’era sulla mappa.
Ti appare fra le vie di Barcellona con la stessa imponenza di una cattedrale medievale, ma la senti viva, in crescita, ancora in costruzione.
Non è un monumento finito: è un’opera che respira, che si trasforma sotto gli occhi di generazioni di visitatori e cittadini.
Il primo impatto è disorientante. Le torri slanciate si protendono verso il cielo come dita intrecciate in una preghiera, ma lo fanno con un linguaggio architettonico che non assomiglia a nulla di conosciuto.
È il lessico visionario di Antoni Gaudí, l’architetto catalano che nel 1883 prese in mano il progetto – originariamente neogotico – e lo rivoluzionò, trasformandolo in un organismo vivente fatto di pietra, luce e simboli religiosi.
La storia inizia nel 1882, quando l’Associazione dei Devoti di San Giuseppe volle costruire un tempio espiatorio interamente finanziato da offerte.
L’incarico fu affidato inizialmente a Francisco de Paula del Villar, che però abbandonò il cantiere dopo poco tempo.
Fu allora che entrò in scena Gaudí, giovane ma già riconoscibile per la sua originalità. E qui iniziò la leggenda: per lui, l’architettura non doveva imitare la natura, ma essere natura.
Antoni Gaudí ha reimmaginato la basilica con il suo stile inconfondibile, mescolando elementi gotici e art nouveau.
E’ un esempio incredibile di come l’architettura possa fondere funzionalità e bellezza.
Le torri slanciate, che arriveranno a un’altezza di 172,5 metri, sono progettate per rappresentare i dodici apostoli. L’architettura è una fusione di stili, che va, come accennato, dal gotico al modernismo catalano, regalando un’atmosfera quasi magica.
Ogni angolo offre una sorpresa, invitando i visitatori ad esplorare.
Ogni facciata della chiesa racconta un capitolo del Vangelo.
La Facciata della Natività, l’unica completata sotto la sua direzione, esplode di vita: fiori, animali, figure scolpite che sembrano germogliare dalla pietra.
La Facciata della Passione, iniziata dopo la sua morte, è invece dura, spigolosa, quasi scheletrica: un dramma scolpito nella roccia.
E infine la Facciata della Gloria, ancora in lavorazione, sarà l’ingresso principale e racconterà il cammino dell’uomo verso Dio.
Ma è dentro che la Sagrada Família ti spiazza.
Le colonne, altissime, si ramificano come alberi in una foresta.
La luce filtra dalle vetrate in un gioco di colori cangianti: al mattino prevalgono i blu e i verdi, nel pomeriggio i rossi e gli aranci.
È un’architettura pensata per essere un’esperienza mistica, non solo visiva.
Gaudí stesso diceva: “Il tempio è fatto dagli uomini, ma il suo ispiratore è Dio”.
Gaudí dedicò a questa cattedrale gli ultimi 43 anni della sua vita, vivendo quasi in clausura nel cantiere.
Morì nel 1926, travolto da un tram, lasciando incompiuta la sua opera, allora appena al 20% della realizzazione.
Da allora, generazioni di architetti hanno cercato di proseguire il suo disegno, utilizzando oggi anche tecnologie digitali e stampanti 3D per scolpire e modellare ciò che lui aveva immaginato.
La conclusione dei lavori – salvo ritardi – è prevista per il 2026, ad un secolo dalla sua morte.
Ma in fondo a nessuno importa.
Perché la Sagrada Família è bella proprio così: già perfetta nel suo essere imperfetta, incompleta, come tutti i sogni troppo grandi per stare in una sola vita.
Non è solo un monumento religioso: è il simbolo di una città, di una cultura, di un’idea ostinata di bellezza.
Vederla per la prima volta non significa “visitare” un luogo: significa entrare nel sogno che un uomo, un secolo e mezzo fa, ebbe il coraggio di scolpire nella pietra.













