4 Settembre 2025 - 16.58

I “ladri di spazio”: l’invasione silenziosa dell’Homo Ingombrans


di Alessandro Cammarano

Preambolo: quello che segue è, come tutti i miei articoli, molto ironico e soprattutto politicamente scorretto. Se decidete di leggere oltre non sentitevi offesi e soprattutto fatevi una risata.

Ciò premesso poniamoci a esaminare un fenomeno dilagante, ovvero quello dei ladri di spazio altrui.

Viviamo in società che parlano ossessivamente di sostenibilità, ecologia, riduzione dell’impronta carbonica. Nessuno, però, ha mai osato toccare il vero nodo del problema: l’impronta fisica e psicologica che la gente comune lascia nello spazio altrui. È un tema tabù, perché comporta una verità scomoda: metà dell’umanità non sa stare al mondo, letteralmente.

Ma prendiamo in esame alcune categorie che i “digital creator” definirebbero, con termine da voltastomaco, “iconiche”.

Il fenomeno è chiaro nei pellegrini da scala mobile: salgono un piano di centro commerciale e, appena raggiunta la sommità, si fermano come esploratori sul Machu Picchu.
Lì, impiantano il loro presidio: discutono con calma se andare prima a comprare i calzini in saldo o la centrifuga multifunzione. Dietro, la massa in salita accumula pressione, come una diga sul punto di esplodere; e se la cima della scala mobile è la loro vetta sacra, per altri l’aeroporto è il santuario in cui compiere le proprie liturgie di disorientamento.

Poi ci sono i pellegrini del check-in, anime pure convinte che le file siano un concetto relativo: guardano i display come se fossero enigmi filosofici: “Zona F – Banchi dal 28 al 37” è per loro un indovinello zen. Nel frattempo, trascinano trolley gonfi come corpi imbalsamati, falciando caviglie altrui come i cavalieri della Caccia Infernale.

E una volta a bordo? Non migliora, anzi il caos prosegue, perché il concetto di numero-fila/lettera-posto è come il Gatto di Schroedinger; dunque, la fila nel corridoio dell’aeromobile si allunga e si infiamma perché il balengo di turno non riesce a capire che il suo posto è 21 A e che sta bloccando il passaggio all’altezza del 5 D.

Le aree di servizio in autostrada sono il laboratorio perfetto dell’Homo Ingombrans.
Qui la parola “coda” si scioglie come neve al sole secondo le modalità più fantasiose: ci sono i laterali che “non mi metto in fila, tanto vado veloce”, i diagonali che entrano a spigolo e i frontali che sbattono il panino sul banco prima ancora di aver scelto la bibita.
L’Autogrill, più che un luogo di ristoro, diventa un reality show sulla gestione fallimentare dello spazio vitale.

E quando non c’è cibo da contendersi, il palcoscenico ideale diventa la sala d’attesa: un luogo teoricamente neutrale, che però si trasforma regolarmente in campo di battaglia.

Non c’è luogo più eloquente della sala d’attesa. Entra una persona sola, esce una comunità autonoma: giacche su quattro sedie, zaini come barriere architettoniche, giornali aperti come bandiere di conquista. Se osi avvicinarti, vieni fulminato con lo sguardo: “Scusi, è già occupato”.

E quando finalmente escono dall’edificio, gli stessi campioni dello spazio si mettono al volante: ed è lì che l’arte dell’ingombro raggiunge le sue vette espressive.

Fuori, l’Homo Ingombrans si esprime al massimo con l’automobile.
Il parcheggiatore creativo lascia la macchina di traverso tra due stalli, con una precisione chirurgica che impedisce a chiunque altro di usufruirne, mentre alcuni, in vena di performance art, si posizionano a cavallo delle strisce, come se stessero denunciando la rigidità delle geometrie urbane.

E quando arriva l’estate, le stesse abilità di conquista territoriale vengono traslate dalla città alla spiaggia, con risultati altrettanto devastanti.

La spiaggia è il laboratorio estivo dell’appropriazione indebita. C’è la famiglia che si presenta con sei ombrelloni, dodici teli e due fenicotteri gonfiabili, colonizzando un’area che nemmeno Alessandro Magno in giornata buona sarebbe riuscito a conquistare e mantenere. Guai a posizionare un asciugamano a tre metri dal loro confine: si sentiranno invasi come se tu avessi fatto sbarcare i Normanni sotto casa loro.

E se in spiaggia l’invasione è visiva, in treno l’occupazione avviene con le corde vocali: è l’acustica, non la sabbia, il terreno di conquista.

Ecco i telefonisti da treno, che parlano a voce talmente alta da sostituire il sistema di annunci ferroviari. “Pronto, sì, sono in treno, ma guarda che la colite di tuo zio è peggiorata!”. Un’intera carrozza obbligata a conoscere la cartella clinica della loro famiglia.

E quando scendono e tornano alla quotidianità, la loro missione di disturbo non finisce: li trovi al supermercato, dove mettono in scena la loro coreografia preferita.

Al supermercato si distinguono i carrellisti in fase creativa. Lasciano il carrello in mezzo al corridoio, trasversalmente, come un check-point militare. Non è incuria, è performance. Loro osservano il banco dei biscotti con aria assorta, mentre dietro di loro si forma un ingorgo da tangenziale.

Tirando le somme del discorso ci si accorge che dalla scala mobile al carrello, passando per ombrelloni e parcheggi, la diagnosi non cambia: siamo davanti a una pandemia sociale il cui virus scatenante e contagiosissimo è l’egosclerosi, ovvero la convinzione che lo spazio pubblico sia una prosecuzione naturale del proprio salotto.
È un disturbo sociale diffusissimo, e nessuno ne parla; non fa notizia come i cambiamenti climatici, ma è tra le emergenze vere del pianeta.

Perché fino a quando continueremo a tollerare questi furti silenziosi, non vivremo in una società: vivremo in un gigantesco deposito bagagli pieno di corpi abbandonati a caso.

E l’Homo Sapiens, nella sua trasformazione in Homo Ingombrans, rischia di evolveresi in una nuova sottospecie: l’Homo Otturans, campione mondiale di spazio sottratto, per il quale ogni luogo pubblico non è comunità, ma una distesa infinita di sedie, corsie, marciapiedi e corridoi tutti rigorosamente “miei”.

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