Regionali: careghe e compromessi. Roma ha un incubo: una lista personale di Zaia, con lui capolista

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Umberto Baldo
La politica, piaccia o no, è l’arte del compromesso. Senza, diventa una corrida permanente, una guerra di trincea che rende impossibile governare perfino un condominio, figurarsi una Regione o un Paese.
E infatti, come da copione, le risse per le candidature alle prossime regionali stanno rientrando una a una. Qualche mal di pancia, qualche borbottio dietro le quinte, ma poi tutti in scena con il sorriso. Succede in Puglia, succede nelle Marche, succede perfino in Campania, dove l’arcigno Presidente uscente Vincenzo De Luca – quello che fino a ieri attaccava Elly Schlein come un comico da cabaret di provincia – oggi la incontra in un clima serafico, quasi da armistizio natalizio sul fronte occidentale.
Compromessi, si diceva?
Eccone servito uno su piatto d’argento: via libera alla candidatura dell’ex Presidente della Camera Roberto Fico, una specie di totem che Conte vuole a tutti i costi per poter benedire il “campo largo”; in cambio, De Luca si porta a casa il diritto di presentare una propria lista civica più due assessori in dote (rigorosamente uno uomo e una donna, ché almeno il politicamente corretto sia salvo).
Morale della favola? In politica, tutti i salmi finiscono in gloria. Tradotto: potere e careghe.
Ma mentre il Sud si assesta tra inciuci e intese, in Toscana si litiga ma si cerca la quadra, in Veneto la situazione resta bloccata, come una gondola in secca.
Ve ne ho già parlato nei giorni scorso (https://www.tviweb.it/regionali-venete-il-rito-dellincenso-romano/): ma vale la pena rimettere la testa nella pentola.
In Veneto, Meloni e Salvini sono costretti a giocare di sponda, e stasera ci sarà l’ennesima “cena caminetto” fra i capi del Centrodestra.
Il problema? Sempre lui: Luca Zaia.
Il consenso del Doge veneto è talmente ampio che ogni decisione politica, prima di essere presa, deve essere sottoposta all’oracolo di San Vendemiano.
E lui, da buon monarca illuminato, tace. Osserva. Lascia che si muovano gli altri. Ma intanto, la sua ombra si allunga.
Roma ha un incubo: una lista personale di Zaia, con lui capolista.
Uno scenario che farebbe impallidire i piani alti del centrodestra unito, ridurrebbe i voti a disposizione di Lega e Fratelli d’Italia e, soprattutto, consegnerebbe al Doge le chiavi della futura Giunta.
Zaia non sarebbe un Consigliere , ma “el Paron”.
E allora? Roma medita la contromossa.
Non può sbarrargli la strada: sarebbe come vietare al prosecco di frizzare.
Meglio trovargli una via d’uscita “onorifica”: un posto da Ministro.
Salvini sarebbe d’accordo. Meloni, si mormora, ci stia pensando.
Ma per farlo, deve prima liberare una casella, senza fare troppi danni, perché i ministri non si licenziano con una telefonata (la Costituzione non lo consente).
Certo si sussurra dell’Agricoltura, del Turismo, ma in questi casi vale sempre vale il principio del “vedere cammello”.
Ma quando si tratta di trovare una carega a Roma sono maestri; Presidenza di Enel, di Leonardo e vai col Cristo. La soluzione si trova sempre!
Tuttavia mi permetto di osservare che anche se Zaia dovesse fare le valigie per Roma, il problema resterebbe.
Anzi, potrebbe peggiorare.
Perché i leghisti duri e puri del “León” – quelli che ancora sognano l’indipendenza della Padania a cavallo di un trattore – potrebbero vedere l’ascesa romana del Doge come un tradimento.
Perché sarebbe inevitabile pensare che Zaia abbia venduto i Veneti per un piatto di lenticchie.
E allora?
Allora potrebbero riversare il loro voto su un altro nome: Roberto Marcato, il bulldog dell’autonomismo veneto, che non ha mai nascosto il suo fastidio per la Lega versione Vannacci e compagnia cantante, e che in piena coerenza di recente si è anche candidato alla Presidenza.
Insomma, la partita è ancora tutta da giocare, e da qui a fine estate, ne vedremo delle belle.
Perché, quando si parla di potere, il compromesso diventa solo l’antipasto.
Il piatto forte, in Veneto come ovunque, resta la guerra per le careghe, speriamo non con la variante “piatto di lenticchie”.
Umberto Baldo













