I Web-becilli 2.0, padroni della rete

dí Alessandro Cammarano
Disse Umberto Eco — in tempi ancora relativamente innocenti, quando “avere un profilo” significava una pagina su MySpace e i gattini dominavano pacificamente il web — che «Internet ha dato diritto di parola a legioni di imbecilli». Allora sembrò una provocazione da vecchio umanista spaventato dalla modernità, una sparata aristocratica. Oggi suona come una diagnosi clinica, precisa come una TAC: non una profezia, ma un referto.
Sì, perché quelle legioni ora sono tra noi, anzi sono noi: commentano, condividono, si indignano a orari fissi, pubblicano aforismi motivazionali accanto a minacce di morte, correggono gli errori grammaticali altrui mentre scrivono “qual’è”. E soprattutto, credono di partecipare alla vita pubblica semplicemente digitando qualcosa sotto un post.
L’homo digitalis ha due nature: l’analfabeta funzionale e il guerriero morale. È timido nella realtà e feroce nel virtuale, pacifico in salotto e apocalittico sulla tastiera. In una parola: il leone da tastiera.
Ecco un piccolo bestiario aggiornato del nostro zoo contemporaneo.
Apre la carrellata il talebano della grammatica; custode della purezza della lingua, protettore dell’apostrofo e delle doppie, difensore della “è” contro la barbarie della “é”. È convinto che la salvezza della civiltà passi per la corretta accentazione.
Non ha mai un’opinione su guerre, ingiustizie o inflazione, ma si scatena davanti a un “un pò”. È capace di scrivere: “Si scrive un po’, ignorante!” e sentirsi immediatamente una reincarnazione di Manzoni.
Dopo il commento, si accomoda soddisfatto: ha compiuto il suo dovere linguistico. Il Titanic affonda, ma almeno la punteggiatura è salva.
A un’incollatura segue il passivo-aggressivo da baretto.
Inizia sempre con un “con tutto il rispetto” — e lì dovresti già scappare. È l’educato che non lo è, l’offensivo che si crede diplomatico.
Scrive cose come: “Non voglio sembrare maleducato, ma siete dei poveretti”. Oppure: “Io dico solo la mia, poi fate come vi pare, buffoni.”
Ama la forma del discorso ragionevole, ma la usa come una spranga: il suo sogno è umiliare qualcuno senza dare l’impressione di averlo fatto.
È la versione digitale di quello che ti sorride al caffè e, appena ti giri, ti buca le gomme con calma e compostezza.
Terribile anche il cospirazionista poetico.
Vive in una realtà parallela dove tutto è segreto e nulla è ciò che sembra.
Le sue frasi sono misteriose come le profezie di Nostradamus, ma scritte in maiuscolo: “IL SISTEMA CI STA NASCONDENDO TUTTO”.
È convinto che la verità sia “altrove”, di solito in un video di sette minuti caricato su YouTube da un signore con gli occhiali da sole.
Scrive: “Sveglia gente! Le scie chimiche sono nei cieli ma anche nei vostri cervelli!” e poi sparisce nel nulla digitale.
Quando lo incontri dal vivo, è quello che ti parla piano e dice: “Non posso spiegarti qui… ci stanno ascoltando.”
Variante del passivo-aggressivo è il timido-violento, altrimenti detto Bambi con la katana.
Dal vivo è il più mite degli esseri umani: non interrompe mai, si scusa se urta qualcuno, sorride per imbarazzo, ma online si trasforma in un gladiatore digitale, pronto a “sistemare” chiunque osi contraddirlo.
Scrive anche lui in maiuscolo, alternando bestemmie e punti esclamativi: “VI MERITATE TUTTO IL MALE!!!”.
Sfida a duello sconosciuti di tre continenti, e conclude sempre con un minaccioso “CI VEDIAMO FUORI”.
Naturalmente non si vedrà mai nessuno, perché il leone da tastiera, appena chiude il laptop, torna gattino.
La sua rabbia si dissolve tra la lavastoviglie e il telecomando.
Negli ultimi mesi si è manifestato anche il buonista furioso.
È il pacifista col nervoso, l’anima bella con l’indole da lottatore.
Predica amore universale, empatia, rispetto per tutti — ma solo per chi la pensa come lui.
Scrive: “Siate gentili, idioti ignoranti!” e si sente dalla parte giusta della storia.
Sogna un mondo in cui l’umanità si abbraccia virtualmente, ma poi insulta chi non usa il linguaggio inclusivo corretto.
Ha sempre un cuoricino e un insulto nello stesso messaggio: un ossimoro vivente.
Il commentatore totale è la versione potenziata del “Tenico” del Bar Sport di Stefano Benni, ma con connessione Wi-Fi.
Sa tutto di tutto: virus, economia, geopolitica, calcio, fisica quantistica.
Ogni giorno cambia mestiere a seconda delle tendenze.
Durante la pandemia era virologo, poi stratega militare, ora è climatologo e linguista applicato.
Cita “fonti indipendenti” e “dati che nessuno vi dice”, ma la sua biblioteca personale è un canale Telegram.
Il suo motto, inamovibile: “Io ragiono con la mia testa”.
Purtroppo, non è vero: ragiona con la testa di chi urla più forte.
Dietro ognuno di questi personaggi c’è una medesima convinzione: che scrivere equivalga a pensare, che commentare equivalga a capire, che indignarsi equivalga a partecipare.
Ma la libertà d’espressione, senza la fatica di informarsi, è come un microfono acceso in una stanza vuota: amplifica il rumore, non la voce.
Eco, che non usava Twitter ma aveva intuito tutto, aveva anche detto che “i social media danno lo stesso diritto di parola a un premio Nobel e a un idiota”. È questo il dramma, ma anche la farsa del nostro tempo: l’uguaglianza digitale ha abolito la vergogna, e l’opinione ha sostituito il pensiero.
Forse non serve censurare nessuno, ma reintrodurre il silenzio come pratica civile.
Pensare prima di scrivere, ascoltare prima di rispondere, tacere ogni tanto.
Sarebbe già rivoluzionario.
Perché, come avrebbe detto lo stesso Eco, “una volta gli imbecilli li riconoscevi subito, al bar del paese. Ora devi scorrerli, uno per uno.”













