Gli Stati Uniti di Trump e Il racconto dell’ancella: quando la distopia di Atwood sfiora la realtà

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L’associazione tra l’America di Donald Trump e la distopia teocratica de Il racconto dell’ancella (The Handmaid’s Tale) è stata già avanzata negli scorsi anni da attivisti, commentatori e giornalisti. Alcuni l’hanno bollata come una drammatizzazione eccessiva, uno strumento retorico per mobilitare l’opinione pubblica liberal. In effetti, la democrazia statunitense, per quanto sotto pressione, non è ancora Gilead. Ma negare le analogie inquietanti sarebbe miope. I segnali di un possibile slittamento verso modelli autoritari, fondati su un moralismo religioso estremista, sono reali. Basta osservare la crescente influenza di personaggi dello staff di Trump profondamente ispirati da una visione religiosa fondamentalista – come l’ex consigliera Kellyanne Conway o l’ex vicepresidente Mike Pence – per rendersi conto che l’uso politico della fede è una strategia consapevole e costante. La distopia di Atwood resta finzione, ma ha smesso da tempo di sembrare irrealistica.
Il punto di contatto più evidente riguarda il controllo del corpo femminile. In Il racconto dell’ancella, le “ancelle” vengono assegnate ai comandanti per procreare, in un sistema in cui l’infertilità ha reso la maternità un dovere statale. La riproduzione è una responsabilità pubblica, e la sessualità femminile viene cancellata sotto una patina religiosa e patriarcale.
Negli Stati Uniti contemporanei, l’onda lunga delle politiche conservatrici ha portato nel 2022 alla storica sentenza della Corte Suprema che ha annullato Roe v. Wade, eliminando il diritto federale all’aborto. Questa decisione, sostenuta da una maggioranza di giudici nominati durante la presidenza Trump, ha aperto la strada a divieti totali o severissime restrizioni in diversi Stati, creando una mappa frammentata dove i diritti delle donne variano in modo drammatico a seconda del confine attraversato. Come in Gilead, il corpo femminile è diventato terreno di scontro ideologico.
In Gilead, la Bibbia è usata per giustificare ogni forma di repressione, reinterpretata e manipolata per sostenere la sottomissione delle donne e l’autorità maschile. Anche durante la presidenza Trump, la retorica religiosa ha avuto un ruolo centrale. Nonostante il suo profilo personale tutt’altro che evangelico, Trump ha saputo mobilitare il voto della destra cristiana promettendo giudici anti-aborto, difesa del “valore della famiglia tradizionale” e una guerra culturale contro le istanze progressiste. La religione come strumento politico: un tratto distintivo tanto di Gilead quanto dell’alleanza trumpiana con l’America più conservatrice.
Nel romanzo e nella serie, Gilead è un regime di sorveglianza, dove ogni parola può costare la vita. Le donne non possono leggere né scrivere, la stampa è soppressa, le opinioni non conformi sono punite con la morte o la deportazione nelle “Colonie”.
Sebbene gli Stati Uniti restino formalmente una democrazia, il clima politico sotto Trump si è fatto via via più tossico: attacchi alla stampa, diffusione sistematica di fake news, delegittimazione del voto, promozione di teorie del complotto e, non da ultimo, l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. Tutti segnali di una deriva autoritaria, in cui il leader è sempre “vittima” di un sistema corrotto e i suoi oppositori sono nemici da colpire senza pietà.
Nonostante l’oppressione, Il racconto dell’ancella è anche una storia di resistenza. June (Difred), la protagonista, trova nell’oppressione la forza per ribellarsi, stringendo alleanze sotterranee e rifiutando di accettare l’orrore come normalità. Allo stesso modo, la presidenza Trump ha innescato una forte reazione femminile. Dal movimento #MeToo alle Women’s March che hanno attraversato le strade di Washington e di tante altre città americane, la voce delle donne si è alzata con forza per reclamare libertà, giustizia e dignità.
Margaret Atwood ha più volte ribadito che Il racconto dell’ancella non è nato da pura invenzione: tutto ciò che accade in Gilead è già accaduto, in qualche tempo e luogo del mondo. La sua opera, dunque, è un monito. E l’America di Trump – con il suo attacco ai diritti, l’uso politico della religione, la retorica populista e la repressione del dissenso – ci ricorda quanto fragile possa essere la democrazia e quanto rapidamente si possano perdere libertà che si credevano acquisite.
Nel 2025, mentre Trump è nuovamente in corsa per la Casa Bianca, l’eco di Gilead risuona più forte che mai. E resta valida l’avvertenza implicita nel romanzo: la distopia non è lontana, se abbassiamo la guardia.













