2 Febbraio 2014 - 15.28

Siamo tutti un po’ (troppo)… veneti

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Di Arianna Lolli

“Il nuovo lavoro di Giovanni Manna e’ tutto da vivere. Come l’inizio di una nuova settimana, nella fredda Vicenza. Un lunedì da gustare, fino in fondo”. Così scriveva Giuseppe D’Onchia nella recensione del libro “Ombre di felicità” pubblicato da Libreria Editrice Urso nel 2001. Parole che suonano quasi profetiche non solo perché, da allora, Giovanni Manna ne ha fatta di strada – diventando un “diversamente veneto” – ma anche e soprattutto perché da quel suo ultimo libro e’ tratto il monologo “Siamo tutti un po’ (troppo)…veneti”, frutto di un percorso di integrazione personale e professionale. Nato a Gela (Sicilia) nel settembre 1981, Giovanni Manna si è trasferito a Vicenza dove ancora oggi risiede e lavora come insegnante di scuola media a Costabissara. E proprio a Costabissara lunedì 10 febbraio alle 20.45 nella sala della biblioteca comunale “Elisa Conte” il giovane insegnante siciliano, vicentino d’adozione, presenterà le sue “Disavventure di un immigrato siciliano in Veneto” tratte dal monologo che accende i riflettori sul rimorso di una colpa mai commessa, tanto da fargli ammettere alla fine: “Siamo tutti un po’ (troppo)… veneti! A volte pure io”.

Partiamo dal titolo: “Siamo tutti un po’ (troppo)… veneti! A volte pure io”. Significa che ormai ti senti un veneto “veneto” dalla testa ai piedi?
“Non la metterei in questi termini così tragici, per favore! Sono ancora, in ogni caso, un portatore sano di “sicilianità”! È anche vero, però, che dopo quattro anni a Vicenza il mio quadro clinico sta peggiorando. All’inizio la malattia mi aveva colpito in forma lieve: ero solo diventato puntuale. Ho pure iniziato a parcheggiare la mia auto solamente negli spazi consentiti. Ma non avevo il coraggio di ammetterlo a me stesso. Poi, un giorno, mi sono ritrovato ordinatamente in fila, al supermercato. Non l’avevo mai fatta una cosa così grave. Solo allora ho compreso che dovevo farmi aiutare da qualcuno. L’ho tenuto nascosto, in un primo momento, alla mia famiglia. Mi sono rivolto al mio medico di base e subito sotto con altre analisi, ecografie e risonanze magnetiche. Lui mi ha guardato negli occhi, dopo aver analizzato anche i risultati dell’ultima TAC. E ha trovato il coraggio di dirmi la verità in maniera schietta, senza troppi giri di parole. Mi ha pure aiutato a mettere i miei genitori al corrente di tutto ciò. Come succede sempre in questi casi, la diagnosi ti arriva come un fulmine a ciel sereno. Inappellabile. È un tipo di disturbo degenerativo: starei diventando un po’ veneto pure io. Ne faccio pubblicamente outing – anche per stare vicino a chi è nelle mie stesse condizioni e non ha il coraggio di dirlo”.

Dopo il tuo libro “Ombre di felicità”, ambientato sempre a Vicenza, come è avvenuto il passaggio alla forma del monologo?
“Il monologo è liberamente tratto dal libro ed è un modo alternativo e ironico di presentare il proprio testo. Nasce anche e soprattutto per una mia necessità: quando mi chiamano a presentare il mio libro, non posso certo fare la critica letteraria al mio stesso testo o raccontarne la trama! Quindi scelgo di parlare del libro senza – in fin dei conti – farlo veramente! L’ironia mi serve poi per far riflettere il pubblico che ho davanti: non è una semplice comicità fine a se stessa”.

Appena arrivato dalla Sicilia, come è stata l’integrazione con i veneti?
“All’inizio avevo paura. Poi, ho notato che anche voi avete due piedi e due braccia come gli altri esseri umani. Così mi sono lasciato tranquillizzare. Amo il mio mestiere e questo mi aiuta tantissimo! Lavoro con studenti di Scuola Media, mica in una trincea di guerra! Anche se, in certi giorni, non noto grosse differenze… C’è solo una cosa che ancora mi mette ansia. Quel vostro prefisso telefonico… zero, quattro e ancora quattro e poi un altro quattro. 0-4-4-4. Non si potrebbe cambiarlo?!”.

Quali sono le disavventure, anticipate dal titolo, che ti vedono protagonista?
“Non posso dire nulla, mi dispiace – sono ancora in terapia intensiva. In prognosi riservata. Mi hanno prescritto assoluto riposo. Devo prima elaborare il lutto. E poi forse sarò più sereno. Ad ogni modo, a Costabissara, lunedì 10 febbraio alle 20.45, sala “Elisa Conte” (Biblioteca comunale) ci saranno in scena queste “Disavventure di un immigrato siciliano in Veneto”, col patrocinio del Comune – che ringrazio, attraverso la vostra emittente! – all’interno dell’iniziativa “Libri… che passione!”

Oggi, dopo qualche anno dal tuo trasferimento, ti senti più siciliano o più veneto?
“Sono un uomo del sud ma vivo al nord. Lavoro qui in Veneto ma, appena posso, scappo giù in Sicilia. Come definirmi quindi? Sono un diversamente veneto! Credete, non è facile gestire questa situazione: quando, ad esempio, conosco una ragazza in Veneto, mi dice: “Tu sei troppo siciliano per i miei gusti!” – che io stesso mi chiedo che cosa significa! Quando invece la conosco in Sicilia, mi sento dire, al contrario : “Tu, per me, sei… sei troppo strano!”

Il monologo può essere interpretato come l’invito, espresso attraverso uno stile ironico e irrisorio, a non prenderci troppo sul serio e a saper cogliere anche la prospettiva “dell’altro”?
“Sicuramente questa è una chiave di interpretazione possibile. In fondo siamo tutti italiani, figli della stessa bandiera. Dovremmo forse esserne un po’ più orgogliosi, da nord a sud. Senza sottolineare o denigrare le diversità. Anzi, credo che sia ora di cogliere le eventuali differenze tra una regione e l’altra come una enorme ricchezza culturale. Sempre senza prenderci troppo sul serio”.

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