Toscani e il Referendum: il Veneto risponde con la ‘Festa Nazionale del Mona’

La nuova polemica che ha innescato il fotografo-opinionista Oliviero Toscani contro i Veneti, definendo ‘mona’ chi ha votato per il referendum sull’autonomia, ha scatenato un putiferio sui social, come era ovvio. Migliaia di Veneti freschi di votazione hanno riversato il loro entusiasmo e la loro rabbia contro Toscani ma qualcuno l’ha presa in maniera più ironica. Una Festa Nazionale del Mona è da tempo organizzata su Facebook e ha raccolto già quasi 3000 adesioni e 11.000 manifestazioni di interesse. Si terrà a Venezia mercoledì 12 settembre 2018 dalle ore 18, ma è facile pensare che gli organizzatori cerchino qualche ente o Comune che li ospiti. Dopo l’uscita di Toscani sempre più persone hanno deciso di aderire all’iniziativa organizzata, guarda caso, da Franco Mona.
Insomma, da parola offensiva, la parola ‘mona’ è diventata quasi un allegro simbolo della veneticità di cui vantarsi. (ecco la pagina Facebook per iscriversi al Festival)
Toscani forse non sa che la parola ‘mona’ è spesso usata con affetto dai veneti nel loro quotidiano interloquire. Può essere un insulto bonario che indica vicinanza fra l’insultante e l’insultato. “Te si un mona”, “Va in mona” oppure il fatto di dire a qualcuno con affetto ‘mona…’.
Sulla parola mona esiste anche una varia letteratura. Su internet troviamo anche chi cerca di cerca di ricostruire le origini di questo termine (Leggi: La vasta letteratura sul mona) . Partiamo da alcune considerazioni sull’origine del termine ‘mona’. Una faceva derivare il termine “mona” dal latino “mea domina”, mia signora, mia padrona, da cui viene anche Madonna; la seconda, accreditata dalla prestigiosa firma di Manlio Cortelazzo, faceva risalire il termine al greco “bunion”, e poi “muni” cioè monte, collinetta, da cui “monte di Venere”. Secondo il ricercatore Luca D’Onghia deriverebbe dall’arabismo “maimun”, diffuso in tutte le lingue neo latine, per indicare la scimmia, ma anche la gatta. «Era stato d’altronde lo stesso Marco Polo – osserva D’Onghia – a raccontare del “gatto mammone” che in realtà era una scimmia che assomigliava a un felino. Scimmia in quanto animale peloso, come l’”oggetto” in questione, ma anche simbolo del peccato di lussuria, nell’iconografia cristiana».













