“Onionomics” alla giapponese. Quando il riso ti fa perdere più voti che la guerra

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Umberto Baldo
Maria Antonietta di Francia – che sicuramente non aveva mai fatto la spesa in vita sua – prima della presa della Bastiglia invitava il popolo affamato a consolarsi con le brioche, dimostrando che quando i regnanti, o i primi Ministri, ignorano i morsi della fame, o il prezzo di certi cibi “di base”, i popoli rispondono con i forconi, oppure con le urne.
Nel caso del Giappone hanno scelto la seconda: e così alle elezioni di domenica scorsa, i cittadini del Sol Levante hanno servito una scodella fredda (di vendetta) al Partito Liberale Democratico, che ha perso la faccia, i voti e 18 seggi.
E il tutto, udite udite, per colpa del riso.
Badate che si tratta di evento epocale perché il Partito liberale democratico governa ininterrottamente a Tokio dal lontano 1955 esprimendo sempre il Primo Ministro; ed ora si trova senza maggioranza sia alla Camera Alta che a quella Bassa.
Ebbene sì: secondo molti analisti ritengono che a pesare più dei discorsi elettorali, dei programmi, delle guerre commerciali con la Cina, delle tensioni con la Corea del Sud, dei dazi di Trump, e della geopolitica, sia stato il prezzo del riso.
Altro che guerra, inflazione, pensioni: il tema era “quanto mi costa oggi farmi un onigiri?”
Altro che oro: forse in Giappone oggi si regalano chicchi di riso come pegni d’amore.
Roba che in confronto il tartufo bianco d’Alba sembra un prodotto da discount.
Il Giappone, si sa, è un Paese dove le tradizioni contano.
Il riso non è solo un alimento: è un simbolo nazionale, è spiritualità, è armonia, è bellezza zen in forma di carboidrato.
Quando il prezzo raddoppia e la gente è costretta a fare colazione con i cracker di segale scaduti, allora crollano non solo le diete ma anche le maggioranze politiche.
Il Governo ha cercato di correre ai ripari aprendo i bunker del riso, una sorta di “Area 51” nipponica piena di sacchi bianchi a lunga conservazione, normalmente destinati a carestie o invasioni aliene.
L’esecutivo li ha distribuiti direttamente ai supermercati, bypassando i grossisti e gli speculatori. Ma il prezzo è sceso di poco: da 4.100 a 3.500 yen per 5 chili.
Che equivalgono a circa 20 euro per un sacchetto di “poverissimo” gohan.
E mentre il centro moderato piangeva sul riso versato, a festeggiare è stata l’estrema destra di Sanseito, una formazione così complottista che QAnon, in confronto, sembra il Partito Radicale.
Il loro leader, Sohei Kamiya, ex no-vax, antisemita e teorico del “riso manipolato dai globalisti”, ha portato il suo partito da uno a quindici seggi.
Il tutto senza mai spiegare come intenda abbassare i prezzi: forse seminando direttamente nei templi shintoisti, o invocando la pioggia con danze ancestrali.
Benvenuti nell’era dell’“onionomics” globale: un concetto nato in India, dove spesso il prezzo delle cipolle decide i governi, ma ormai diffuso in ogni angolo del pianeta relativamente ad altri alimenti.
Negli Stati Uniti l’“eggflation” ha spinto la middle class a votare Trump, colta da nostalgia per la frittata a prezzi umani. (https://www.tviweb.it/eggflation-in-usa-e-non-si-parla-di-uova-di-pasqua/).
In Corea del Nord, Kim Jong-il diede la colpa della carestia al fatto che il popolo voleva il riso invece delle più proletarie patate.
In Russia, qualche settimana fa, Putin ha lanciato il grido di allarme “Non abbiamo più patate”.
In Italia, invece, ci dividiamo ancora sul costo della benzina e delle zucchine a gennaio, ma per ora i Governi reggono. Per ora.
Il dato di fatto è uno solo: quando i Governi ignorano la spesa al supermercato, finiscono nella pattumiera del voto popolare.
Altro che riforme costituzionali o patti sul clima. La gente vuole mangiare, e possibilmente non a rate.
E se oggi il Giappone, patria dell’equilibrio e della sobrietà, si ritrova a oscillare sotto i colpi di un pugno di riso, allora c’è poco da ridere.
O forse sì, ma amaramente.
Perché l’economia globale può anche reggere il colpo delle guerre, delle pandemie, dei terremoti e delle recessioni…
Ma nulla resiste alla furia di una massa affamata col carrello vuoto e la ciotola piena solo d’aria.
E così dalla onionomics indiana siamo passati alla komenomics giapponese.
Umberto Baldo













