Legge sull’obesità: chi paga la dieta nazionale? Si userà il certificato medico per mangiare porchetta? Le polemiche XXL

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Di Alessandro Cammarano
È quasi fatta: l’Italia ha deciso di mettersi a dieta; non con la solita promessa di inizio anno o con l’ennesimo abbonamento in palestra abbandonato dopo due lezioni, ma con una legge vera e propria. Con 168 voti favorevoli, 115 contrari e un manipolo di astenuti (forse trattenuti da un piatto di carbonara in mensa), la Camera dei deputati ha approvato ieri la nuova legge-quadro sulle cure dell’obesità proposta dall’onorevole Pella. Una normativa che segna un cambio di passo epocale, nel tentativo di affrontare uno dei problemi di salute pubblica più urgenti del Paese.
Se passerà anche al Senato – il percorso è tutto in discesa e non dovrebbero esserci intoppi – sarà legge.
La nuova normativa parte da un principio rivoluzionario: l’obesità non è una colpa, ma una malattia e come tale, deve essere trattata. In teoria dovrebbero terminare i giudizi morali, basta con i “mangia meno” detti a denti stretti o i consigli non richiesti dell’amico che ha fatto crossfit per due settimane nel 2018.
D’ora in poi, l’obesità viene riconosciuta ufficialmente come patologia cronica, multifattoriale e recidivante.
In concreto, la legge prevede tra l’altro l’accesso gratuito o agevolato a diagnosi precoci, visite specialistiche e percorsi terapeutici personalizzati e l’inserimento nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) delle terapie anti-obesità, inclusi i nuovi farmaci – costosi e richiestissimi – che aiutano a regolare il metabolismo e l’appetito.
Saranno inoltre attivati percorsi integrati con nutrizionisti, psicologi, medici di base e chirurghi bariatrici nei casi più gravi, oltre a campagne di prevenzione nelle scuole, nelle aziende e online, con il coinvolgimento attivo di influencer, star dei social e (pare) anche di qualche chef televisivo pentito.
Infine sarà prevista la formazione obbligatoria per il personale medico e sanitario, perché saper curare non basta: bisogna anche saper ascoltare.
«Questa legge cambia la prospettiva. Per troppo tempo l’obesità è stata trattata come un problema individuale, con stigmatizzazione e isolamento. Ora la sanità pubblica si assume le proprie responsabilità», ha dichiarato il ministro della salute Orazio Schillaci, e le associazioni di pazienti sono d’accordo: «L’approvazione di una legge, la prima al mondo, che riguarda la salute delle persone che vivono con obesità è molto importante, perché finalmente viene lanciato un chiaro messaggio a tutela di queste persone – dichiara Iris Zani Presidente di Amici Obesi e di FIAO – Federazione Italiana Associazioni Obesità.
Anche gli economisti della sanità hanno qualcosa da dire: secondo uno studio del Censis, curare precocemente l’obesità potrebbe ridurre del 35% i costi a lungo termine per il sistema sanitario, oggi gravato da malattie croniche collegate come diabete di tipo 2, ipertensione, patologie cardiovascolari, osteoartrite e apnea notturna.
Tuttavia, non tutti brindano (magari con acqua detox).
Le voci critiche sono molte, trasversali agli schieramenti politici, stigmatizzando l’ennesimo tentativo dello Stato di infilarsi nella vita privata dei cittadini.
A preoccupare è anche il costo dell’intera operazione: tra farmaci – che possono costare fino a 300 euro al mese –, personale, campagne di prevenzione e aggiornamento dei protocolli sanitari, si stima una spesa pubblica annua intorno agli 800 milioni di euro; e non è ancora chiaro da quale capitolo del bilancio verranno prelevati.
“Chi paga la dieta nazionale?”, si chiedono infatti in molti, mentre già si affacciano timori su possibili tagli ad altri servizi sanitari.
Inoltre, alcuni esperti avvertono contro un’eccessiva “farmacologizzazione” del problema, sostenendo che l’obesità non si cura solo con la pillola. Se non si agisce sui contesti – cibo ultra-processato, sedentarietà, povertà alimentare – rischiamo di creare una dipendenza collettiva da farmaci dimagranti.
Nel frattempo, il dibattito impazza sui social – e come potrebbe essere diversamente? –, dove la legge è già diventata argomento ghiotto per i tuttologi instagrammabili.
Qualcuno propone la “patente a punti per l’insalata”, altri temono di dover dichiarare il proprio IMC nella dichiarazione dei redditi. Un utente scrive: “Da oggi il frigorifero ha la tessera sanitaria, e per aprirlo serve la prescrizione del medico”. C’è persino chi si chiede se gli italiani inizieranno a portarsi certificati medici per giustificare la porchetta al picnic.
Molti ironizzano sul fatto che lo Stato promuova l’uso di farmaci che in altre epoche sarebbero stati visti con sospetto; siamo passati dal “mangia tutta la minestra” al “fatti questa iniezione e salta la cena”.
Che sia il primo passo verso un’Italia più sana o l’ennesimo tentativo velleitario destinato a perdersi nei meandri della burocrazia, la nuova legge è una realtà.
Forse non trasformerà tutti gli italiani in maratoneti, ma potrebbe cambiare il modo in cui il Paese guarda al corpo, alla salute e alla dignità di chi lotta ogni giorno con il proprio peso.
Nel frattempo, il frigo resta aperto, ma con discrezione.
E chissà: forse, per la prima volta, a guidare le scelte alimentari non sarà la vergogna, ma la consapevolezza.
Anche se, diciamolo, resistere al richiamo del tiramisù o alle lusinghe della pasta al forno resterà comunque un’impresa titanica.