Ilva: farsa di Stato, tragedia infinita

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Umberto Baldo
Ormai sull’Ilva di Taranto siamo ben oltre la tragedia industriale: siamo alla farsa, o meglio, ad un copione grottesco che si ripete da decenni, sempre uguale, ma ogni volta più costoso e surreale.
Si tratta della soap opera industriale più longeva del Belpaese.
Altro che “Beautiful”, qui siamo a “Disastrous”, versione acciaieria.
Ogni stagione una nuova disgrazia, ogni puntata un nuovo spreco.
Leggo che adesso servirebbero altri 7 miliardi di euro per evitare che lo stabilimento si sbricioli del tutto.
Nel frattempo, lo Stato ha già bruciato altri 400 milioni di prestito ponte, come se niente fosse, come se fossero bruscolini, come se non avessimo capito che si tratta di un pozzo senza fondo.
È il Black Friday dell’assurdo, tutto in saldo, tranne il buonsenso.
Nel frattempo, parte la solita sarabanda di dichiarazioni.
I sindacati gridano alla nazionalizzazione, Salvini annuisce, Emiliano rilancia e vorrebbe addirittura far entrare l’Acquedotto Pugliese nel consiglio di amministrazione. Una partecipata dell’acqua nel cda di una acciaieria? Ma siamo seri? O siamo ormai nella Repubblica del surreale?
Ma in fondo perché no? Magari anche l’AMTAB di Bari, o le Poste, così ci mettiamo pure un portalettere nel comitato strategico.
Del resto, l’Ilva è ormai una gigantesca barzelletta: tanto vale riderci sopra, mentre paghiamo il conto.
Siamo al punto in cui si chiede ai cittadini italiani non solo di accettare l’ennesima socializzazione delle perdite, ma di partecipare a questa pantomima come se fosse un piano industriale, un piano che incenerisce i soldi pubblici, la salute dei tarantini, e quel poco di credibilità rimasta alla politica industriale italiana.
L’Ilva è ormai Alitalia all’ennesima potenza, ma molto peggio.
Perché almeno con Alitalia ogni tanto ci volavi, mentre l’Ilva è ormai un cadavere, un forno crematorio industriale tenuto in piedi solo a colpi di iniezioni di denaro pubblico, ogni tot mesi, giusto per evitare la chiusura e guadagnare tempo fino alle prossime elezioni.
Non c’è più nulla da rilanciare, non c’è piano industriale che tenga.
Il mercato dell’acciaio è cambiato, la competitività di quello stabilimento è compromessa da decenni, e le condizioni ambientali e sanitarie intorno a Taranto gridano vendetta.
Sia chiaro: non è questione di abbandonare i lavoratori o il territorio.
Ma continuare a buttare miliardi in una struttura agonizzante per paura di dire “abbiamo fallito” è una truffa morale e politica. E prima lo si ammette, meglio sarà per tutti – tranne che per i professionisti del parassitismo pubblico.
Purtroppo la politica mostra ancora di preferisce il coma farmacologico permanente alla decisione coraggiosa di staccare la spina.
E dire che basterebbe un minimo di onestà intellettuale: dire che è finita, che lo stabilimento non ha più senso economico, né ecologico, e smettere di continuare a recitare questa tragicommedia, dove tutti fingono di salvare qualcosa che è già perduto, a spese nostre.
Non vorrei che, prima o poi, per il nuovo piano industriale a qualcuno venisse in mente di convocare il Mago Otelma. Chissà, magari potrebbe fare la magia!!!
Umberto Baldo