Festival di Venezia, sbarca Putin con la faccia di Jude Law

Il mago del Cremlino è un film che nasce già con il destino di dividere. Non è un’opera pensata per intrattenere con leggerezza, ma per scavare nelle pieghe del potere, nella sua estetica e nelle sue zone d’ombra. La presenza di Jude Law nel ruolo di Vladimir Putin contribuisce a rendere il progetto un evento che non passa inosservato: l’attore, con la sua capacità di incarnare carisma e freddezza, si mette al servizio di un racconto che punta a interrogare più che a rassicurare. Accanto a lui, Paul Dano veste i panni di Vadim Baranov, l’ex artista diventato stratega della comunicazione, che osserva e racconta la costruzione di un leader destinato a dominare la scena politica internazionale.
La pellicola non si limita a mostrare il lato pubblico del potere, ma si concentra soprattutto sul meccanismo che lo alimenta: la manipolazione, la costruzione di simboli, l’uso della narrazione come arma. In questo senso, la Russia che emerge non è solo un Paese in trasformazione, ma anche un laboratorio politico e mediatico, dove la realtà e la finzione si intrecciano fino a confondersi. È come se la politica fosse descritta come una scenografia teatrale, dove i cittadini sono spettatori e i leader, con i loro consiglieri, registi silenziosi.
La regia sceglie un tono sospeso tra il realismo e la parabola. Non c’è l’intento di riprodurre fedelmente fatti storici, quanto piuttosto quello di evocare un’atmosfera, di mettere in scena un’idea di potere che travalica i confini di un’epoca o di una nazione specifica. Lo spettatore è così spinto a interrogarsi non tanto su ciò che è vero o inventato, quanto sulla natura stessa della politica come spettacolo, sulla sottile linea che separa il consenso dalla manipolazione, sull’inquietudine che deriva dal non sapere più distinguere.
Non sorprende che un film del genere susciti reazioni contrastanti. C’è chi lo leggerà come una riflessione necessaria sul presente, capace di offrire chiavi di lettura su dinamiche che riguardano ogni società. Altri, al contrario, potrebbero percepirlo come eccessivamente didascalico o come un’opera che rischia di trasformarsi in un trattato piuttosto che in un racconto. Ed è proprio qui che si annida la sua forza: non cerca di piacere a tutti, ma di aprire uno spazio di discussione.
Il mago del Cremlino non è quindi solo un film: è un esperimento narrativo che usa il linguaggio del cinema per raccontare il linguaggio del potere. Che si scelga di apprezzarlo o di criticarlo, resta difficile negare che tocchi un nervo scoperto, sollevando domande che rimangono ben oltre la proiezione.













