Dal Nordismo al Vannaccismo: la doppia anima che divide la Lega

Umberto Baldo
È quasi una regola non scritta della politica nostrana: quando una coalizione vince un’elezione regionale, subito si affretta a trasformare quel successo locale in una tendenza nazionale.
Quando invece perde, lo stesso voto viene immediatamente declassato a semplice “voto locale”, privo di qualunque valenza politica generale ed, anzi, già pronto ad essere smentito nella tornata successiva.
E’ un giochino, stupido se vogliamo, ma che puntualmente viene messo in campo, forse nell’illusione, o peggio nella presunzione, che gli italiani siano un popolo di creduloni con l’anello al naso.
Eppure, se si vuole davvero superare la solita retorica campanilistica e provare a capire i risultati, come ripeto da sempre, non resta che guardare i numeri: sono loro, e solo loro, a raccontare la verità.
E la verità ci dice che, rispetto alle Politiche del 2022, nella maggioranza di centrodestra si stanno consolidando due novità.
La prima: il partito di Giorgia Meloni si conferma perno indiscusso della coalizione di destra.
La seconda: Forza Italia sta progressivamente soppiantando la Lega come secondo alleato, almeno in termini di consenso.
Un ragionamento a parte meriterebbe l’andamento ondivago del Movimento 5 Stelle, ma di quello preferisco parlare un’altra vota, magari domani.
Intanto, davanti al 4,38% ottenuto in Toscana dalla Lega, una Waterloo rispetto al 21,78% del 2020, mi è sorta spontanea una domanda: “Ma Matteo Salvini, nel momento in cui ha affidato la conduzione della campagna elettorale al Generale-eurodeputato Roberto Vannacci, credeva davvero di aver trovato la mossa vincente? Oppure lo ha mandato volutamente a sbattere?”
Non è una domanda retorica.
Un politico di lungo corso come Salvini, abituato a cogliere gli umori di militanti ed elettori, non poteva non avvertire il diffuso malcontento nei ranghi leghisti toscani per il ruolo preponderante da lui assegnato a Vannacci.
Mugugni e proteste, pur controllati, che sono puntualmente esplosi dopo il “bagno toscano” e che oggi si fanno sentire nel più assoluto silenzio del Capitano, un silenzio che, a mio avviso, è già di per sé un segnale eloquente.
In queste ore, analizzando la sconfitta toscana, molti leghisti puntano il dito contro il Generale e la sua scelta di imporre in campagna elettorale temi troppo spinti a destra, tipo i continui rimandi alla Decima Mas: un linguaggio difficilmente spendibile in una Regione largamente di sinistra.
Ma, sotto sotto, è evidente che le critiche coinvolgono anche Matteo Salvini, le sue decisioni, e la sua linea politica.
A ben guardare però, il problema non si ferma alla Toscana.
La pessima performance nel Granducato va inserita in un quadro più ampio: quello della crisi complessiva della Lega, che inevitabilmente chiama in causa il suo Segretario.
Spiace dirlo, ma Salvini oggi appare come un pugile in difficoltà: con la guardia abbassata, incapace di trovare il colpo giusto per rimettersi in partita.
Un leader che sembra vivere alla giornata, privo di una strategia precisa, inseguendo di volta in volta il “vannaccismo”, il Ponte di Messina, gli amici del Cremlino, l’immigrazione, o comunque la polemica del momento.
Così facendo, comunica un’incertezza di fondo che non lo accredita né come uomo politico con una visione del futuro, né tantomeno come leader di governo.
In quest’ottica, il fallimento toscano delle liste compilate dal Generale andrebbe letto non come un incidente di percorso, bensì come un sintomo: quello di un partito senza direzione, diviso tra governisti e nuovi ultrà, e con un capo che non sa più dove condurlo.
La prova più evidente la si trova nella politica estera, dove la premier Giorgia Meloni, affiancata dal ministro Tajani, detta la linea, quasi incurante dei distinguo e delle impuntature di Salvini.
Per il leader leghista la situazione è poi ancora più complicata, perché Vannacci non è mai stato davvero “digerito” a nord del Po.
E bastano le parole di Massimiliano Romeo, capogruppo al Senato e segretario della Lega lombarda, per capirlo: “Va bene il contributo di chi porta un valore aggiunto. Ma se si perdono identità, territorio e militanza, non ci si può meravigliare del calo di fiducia”.
Il silenzio della nomenklatura nordista, in fondo, non è così difficile da interpretare.
Sono sempre più quelli convinti che, dopo il voto in Veneto, si possano gettare le basi per un progetto di “doppia Lega”: una al Nord ed una nazionale per Centro e Sud, sul modello tedesco Cdu-Csu.
Un’idea lanciata da Zaia, con l’appoggio di Fontana e Fedriga, per riportare al centro la questione settentrionale ed, al tempo stesso, confinare il “vannaccismo” sotto il Piave.
Del resto, parliamo di Governatori di regioni ricche e produttive, amministratori che sanno bene che al Nord, a “tirare” non sono i richiami alla Decima Mas, bensì i temi dell’impresa, della produttività e dello sviluppo.
Dentro questo quadro, non è difficile prevedere tempi grami per Salvini, costretto ad esercitarsi in spericolati equilibrismi per tenere insieme il Partito.
E non è affatto detto che ci riesca, visto che Vannacci, con il suo imprinting militare, non sembra intenzionato a fare passi indietro: “Chi pensa che io mi fermi, non mi conosce. Chi pensa che io mi scoraggi, sbaglia. Questi risultati mi rendono ancora più determinato. Grazie a tutti i patrioti che hanno sostenuto la Lega in questa battaglia impari: noi andremo sempre avanti». E per fugare ogni dubbio aggiunge: «Quando mi attaccano, riconoscono in me il loro primo nemico. E io ne sono lusingato».
Toni che fanno pensare che il Generale non intenda affatto mollare, e che anzi stia valutando di continuare la sua avventura politica sui suoi temi e con i suoi metodi, magari fino a dar vita, chissà, ad un suo Partito personale.
In conclusione, le due crisi parallele di Lega e 5 Stelle, entrambe problematiche per le rispettive coalizioni, sono destinate a durare almeno fino all’“Ordalia” delle elezioni politiche del 2027.
Lì Giorgia Meloni si giocherà la riconferma a Palazzo Chigi, mentre il “campo largo” di Elly Schlein tenterà di scalzarla.
Con quale “leader di coalizione”, però, è ancora tutto da vedere, a partire dal metodo di designazione del candidato premier, primarie o altro che sia.
Vedrete: ci sarà da divertirsi.
Umberto Baldo













