Sumud Flotilla. Quando la politica diventa una regata ideologica

Umberto Baldo
Se un cittadino italiano decidesse di andare sulla Piazza Rossa a sventolare una bandiera dell’Ucraina davanti al Cremlino, e venisse arrestato e rinchiuso in carcere, cosa dovrebbe fare lo Stato italiano?
Mettere in piedi un caso diplomatico, minacciare ritorsioni, applicare sanzioni?
Credo che chiunque, con un po’ di buon senso, risponderebbe: se uno sceglie consapevolmente e volontariamente di sfidare le autorità di un altro Paese, sono affari suoi.
Lo Stato potrà chiedere clemenza, magari offrirgli assistenza legale, ma non molto di più.
Diversa pare l’opinione di Elly Schlein, segretaria “Pd d’assalto”, che ha scritto a Giorgia Meloni chiedendole di informarla sulle iniziative del Governo “per garantire tutela e sicurezza a tutto l’equipaggio” della Sumud Flotilla.
Per chi non lo sapesse, la Flotilla (il termine Sumud in arabo significa fermezza, resistenza) è la più grande missione civile internazionale non governativa organizzata per portare aiuti umanitari a Gaza e tentare di rompere il blocco navale israeliano.
Una flotta di barche a vela con a bordo attivisti e professionisti da vari Paesi, compresi i parlamentari italiani Benedetta Scuderi (Avs), Marco Croatti (M5S), Arturo Scotto e Annalisa Corrado (Pd).
Che la Schlein si preoccupi dei suoi compagni di partito è comprensibile.
Meno comprensibile è che chieda al governo italiano di garantire la sicurezza di una missione che non rientra nella politica estera ufficiale del Paese.
Una richiesta dal sapore politico, più infantile che coraggiosa: come voler essere atleti senza sudare, trasgressivi ma sempre dentro al copione.
Sorvolo sulle dispute giuridiche riguardo alla legittimità del blocco israeliano: opinioni contrastanti ce ne sono a bizzeffe.
Ma a mio avviso c’è una certezza: la flottiglia non arriverà mai a Gaza.
Non è mai successo e non succederà ora.
Israele fermerà le barche, le sequestrerà, identificherà ed espellerà i partecipanti.
Risultato? Zero aiuti concreti ai civili, milioni di euro spesi in barche confiscate, carburante, logistica e comunicazione, che avrebbero potuto davvero alleviare le sofferenze dei gazawi attraverso i canali umanitari già attivi.
In realtà questa regata non è un aiuto, è un rito ideologico.
Un gesto dimostrativo e autocelebrativo, utile solo a esibire una patente di “buoni” davanti all’opinione pubblica occidentale.
Cambia il mezzo – barca a vela invece che post su Facebook – ma la sostanza è la stessa.
E Hamas ringrazia per il sostegno morale mascherato da umanitarismo europeo.
E poi, seguendo la logica della Schlein, a cosa dovrebbe arrivare l’Italia?
Mandare la Marina Militare a scortare le barche, con il rischio di scontrarsi con la marina israeliana?
Oppure, se qualcuno venisse arrestato, spedire le forze speciali a liberarli?
Espellere diplomatici israeliani?
O ancora, garantire il rientro a casa con navi da guerra?
È davvero questo lo scenario che auspica?
La verità è semplice: chi decide di imbarcarsi sulla Flotilla sa già che Israele li considera alla stregua di complici di Hamas.
Partecipare è una scelta personale, consapevole e rischiosa.
E chi la fa deve assumersene tutta la responsabilità.
Umberto Baldo













