16 Agosto 2025 - 9.40

“Non occorre essere stupidi per partecipare al Sunburn Challenge… però aiuta”ovvero, bruciarsi per gioco

Quasi sempre il tormentone estivo è una canzone, a volte un capo di abbigliamento, altre volte un atteggiamento modaiolo.
E poi, ogni tanto, una grande, grandissima stupidaggine.
Quella di cui parliamo oggi è una di quelle che ti fanno venire voglia di chiedere la cittadinanza su Marte.
Estate 2025: niente “Despacito” o “Waka Waka” a dominare le spiagge, ma un suono generato dall’intelligenza artificiale e sparato in loop su TikTok: Skibidi boppy.
Non significa nulla, non è una canzone, non è un’idea… è solo un rumore remixato e manipolato finché non ti perfora il cervello.
Ma, onestamente, chi lo ripete non fa male a nessuno: è humor surreale, cultura del meme, idiozia innocua.
Ben diverso è il caso di un’altra tendenza social che sta spopolando: la Sunburn Challenge.
Per chi fosse fortunato abbastanza da non saperlo, consiste nel cuocersi come una bistecca alla griglia sotto il sole, senza crema, fino a ottenere ustioni di primo grado… e poi mostrarle online con orgoglio, magari accanto alla parte bianca coperta dal costume.
L’hashtag #sunburnttanlines ha già superato i 200 milioni di visualizzazioni.
Un festival della pelle arrossata e gonfia, con influencer (e aspiranti tali) che sfoggiano la loro epidermide in modalità “gambero bollito” come fosse un trofeo.
Ora, non so voi, ma a me viene in mente solo una frase: “Non occorre essere stupidi per partecipare al Sunburn Challenge… però aiuta.”
E non è un’iperbole: fino ad un secolo fa, la pelle scura per effetto del sole era associata alle classi lavoratrici, agli operai e ai contadini, mentre l’incarnato pallido rappresentava un segno di lignaggio, di appartenenza alle classi agiate, che non erano costrette ad esporsi ai raggi della nostra stella.
Guardate qualche quadro dell’ 800, ma anche dei primi 900, e vedrete le donne delle classi elevate avere sempre in mano l’estate l’ombrellino parasole.
Con il passare dei decenni la tintarella è diventata un simbolo di bellezza e vacanza, tanto da spingere molti a comportamenti rischiosi pur di ottenere il colore “perfetto”.
Ma oggi siamo passati all’autolesionismo volontario, con tanto di diretta social.
E sapete la cosa più inquietante?
Che non si tratta di sole e di mare. Si tratta di visibilità.
Di “valgo solo se mi vedono, anche mentre soffro”.
È il dolore trasformato in contenuto, il male fisico esibito come medaglia al valore.
Non c’è più pudore, non c’è più senso del limite: solo un’arena virtuale dove ogni bruciatura è un applauso.
Voglio ripetermi per essere sicuro di essere capito: la Sunburn Challenge non è una sfida: è un certificato di idiozia con data e firma digitale.
La testimonianza diretta di un’epoca in cui il dolore è contenuto premium, da esibire come trofeo, di un’epoca in cui non c’è più senso del ridicolo.
Solo un’arena virtuale in cui vince chi si fa più male, e perde chi prova a usare il cervello.
Sì, certo, arriveranno i dermatologi a spiegare che le ustioni aumentano il rischio di tumori alla pelle, in primis il melanoma.
Magari il Ministero della Sanita lancerà una campagna di sensibilizzazione.
Ma diciamolo: non è un volantino informativo che salverà chi decide di farsi arrosto per un paio di follower in più.
Per questi, l’unica crema solare utile sarebbe quella da spalmare direttamente sui lobi frontali, per cercare di proteggere il poco buon senso rimasto.
Umberto Baldo

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Testata Street Tg Autorizzazione: Tribunale Di Vicenza N. 1286 Del 24 Aprile 2013

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