7 Agosto 2025 - 9.08

Ferragni e non solo, il gossip come voyeurismo e pornografia

Partiamo da lontano. Il gossip esiste da sempre, ben prima delle Kardashian e delle Ferragni. Nell’antichità era il modo in cui le comunità si tenevano aggiornate, controllavano i comportamenti e rafforzavano le norme sociali.
Era uno strumento di coesione: “Hai visto cosa ha fatto Tizio?” significava anche “attenzione questo comportamento è inaccettabile”.
In fondo l’Iliade di Omero su cosa è basata? Sul gossip della fuga d’amore di Elena (di Troia!) con il principe Paride, e delle relative corna postate dalla stessa sulla fronte del marito Menelao.
Oggi è solo cambiato bersaglio: non più il vicino di casa, ma la celebrità.
Però la logica è la stessa.
Diciamolo senza falsi pudori: il gossip è il nuovo oppio dei popoli.
Altro che Marx e le religioni: oggi ci inginocchiamo davanti agli Influencer, ci confessiamo davanti a Barbara D’Urso, e facciamo la comunione col settimanale “Chi” sotto braccio.
Le Sacre Scritture del nostro tempo non sono i Vangeli, ma le Instagram stories, dove il “verbo” si fa selfie e la luce divina arriva direttamente dall’anello LED del cellulare.
Eppure, c’è qualcosa di profondamente umano in tutto questo.
Perché la verità è che non siamo messi così male da leggere gossip per caso. No, no.
Noi il gossip lo cerchiamo, lo invochiamo, lo pretendiamo. È la linfa vitale dei talk show, il motore segreto dell’algoritmo, la ragione per cui programmi come Il Grande Fratello o Temptation Island riescono a sopravvivere a ogni stagione politica. (E sono più longevi di molti governi.)
Le storie delle celebrità funzionano come un gigantesco specchio distorto: ci permettono di confrontarci con modelli irraggiungibili, criticandoli per sentirci meglio.
“Guarda quella che si è rifatta tutta ed è pure cornuta!” oppure “Con tutti i soldi che ha, guarda che cavolata che ha fatto!”.
Ma qual è il meccanismo? Semplice: guardare gli altri vivere male ci fa sentire meglio.
È una forma di solidarietà tossica. Tipo: “Chiara Ferragni? Eh, sì, sarà pure ricca, ma guarda che faccia tirata. E poi il marito l’ha mollata. Almeno io ho la pensione, e mia moglie mi vuole ancora bene”.
È una forma di autoassoluzione morale: loro hanno tutto, eppure sono ridicoli, infelici, vuoti.
Noi, pur senza yacht e borse da 10.000 euro, siamo più “veri”.
E questo appaga. Fa sentire “superiori”.
Il gossip di oggi è pornografia sociale soft: invece del sesso, mostra ricchezza, lusso, eccesso.
Un’influencer che indossa un abito da 40.000 euro o gira per il mondo in jet privato è l’equivalente contemporaneo delle fantasie erotiche: uno sguardo sul proibito.
Con la differenza che, anziché eccitare, genera spesso frustrazione o invidia. Ma è sempre una forma di piacere mediato.
Certo, c’è indubbiamente anche una componente di invidia sociale, ma non nel senso meschino del termine. Più che desiderare quella vita, si desidera una forma di riscatto.
Quando Ferragni è inciampata nello scandalo del pandoro, sui social molti godevano. Ma probabilmente non per odio fine a stesso, ma per ribilanciare l’ingiustizia percepita.
“Ecco, anche lei è vulnerabile, anche lei può cadere, anche lei può essere sputtanata!”.
È il piacere della caduta degli dèi, una specie di vendetta simbolica per chi fatica ogni giorno a portare a casa 1.300 euro al mese.
Le vite delle celebrity sono diventate soap opera reali. Come seguire una serie Netflix: puntate, colpi di scena, divorzi, tradimenti, drammi.
E la mente umana adora le storie: ci viviamo dentro, da Omero a TikTok.
Temptation Island, L’Isola dei Famosi, Grande Fratello: sono la prosecuzione del gossip con altri mezzi.
Non ci interessano loro, ma le dinamiche, il triangolo, la crisi, l’umiliazione pubblica. È catarsi, è teatro greco con il trucco waterproof e lo sponsor di occhiali.
In un mondo pieno di problemi veri (inflazione, guerre, crisi climatica…), il gossip è un analgesico.
Leggero, inutile, ma facile da consumare.
Dà l’illusione di essere “nel giro”, di conoscere, di commentare, di partecipare.
Insomma: un antidoto all’impotenza di fronte a ciò che davvero conta.
E allora? Siamo tutti scemi?
In fondo che male c’è a spiare un po’?
Che male c’è a guardare questi personaggi muoversi nel nulla, dire cose vaghe, promuovere creme miracolose e mettersi in posa mentre bevono acqua come se stessero assaporando un Sassicaia?
Siamo tutti colpevoli, e forse anche innocenti.
Perché in un mondo complicato, ingiusto, faticoso, il gossip è la scorciatoia emotiva che ci fa sentire meno soli, meno sfigati, meno poveri.
Ma siamo umani. E in una società in cui l’identità viene costruita a colpi di apparenze, like e storytelling personale, il gossip è il sottofondo inevitabile.
Serve a chi lo produce, a chi lo consuma e a chi ci guadagna sopra.
E forse serve anche a chi, come noi, lo guarda da fuori scuotendo la testa… ma poi magari sbircia le foto del matrimonio di Fedez e Chiara. “Solo per vedere com’era vestita, eh”.
A ben vedere il gossip non è più un passatempo: è una dipendenza collettiva.
Un trip mentale per evadere da una realtà dove il frigo piange, l’affitto aumenta, e il bonus psicologo è finito.
E allora via: tutti a commentare la Ferragni, i Ferragnez, le tette nuove di Belen, le corna in diretta su Temptation Island.
Un popolo con la tredicesima già finita che discute delle vacanze a Dubai di gente che spende in una cena quanto noi in sei mesi di supermercato.
Siamo passati dal voyeurismo erotico degli anni ’80 al voyeurismo economico del nuovo millennio.
È pornografia del lusso.
Solo che invece di eccitarci, ci rode.
E più ci rode, più guardiamo. Più guardiamo, più rosichiamo.
È un ciclo vizioso, un loop di frustrazione travestita da intrattenimento.
In fondo, piaccia o non piaccia (e a me oggettivamente non piace) questa è la cultura del nostro tempo.
Un tempo in cui se non sei sui social non esisti, ma se dici qualcosa di intelligente vieni ignorato, perché non hai i filtri giusti né il naso rifatto.
Un tempo in cui i valori si misurano a follower, le opinioni a condivisioni, e la felicità a filtri Vsco.
E in mezzo a tutto questo, noi.
Seduti con la tazzina di caffè, lo smartphone in mano, e il cervello parcheggiato in modalità “commentatore da bar”, a criticare il vuoto mentre lo nutriamo, a insultare i ricchi mentre li inseguiamo, a farci prendere in giro… sorridendo
Umberto Baldo

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