Ferragosto, vacanze senza soldi: cala il mare sale l’Alaska!

Venerdì finisce la prima settimana d’agosto e, calendario alla mano, entriamo ufficialmente nel clou della stagione estiva: quella manciata di giorni attorno a Ferragosto che, per decenni, ha rappresentato il Sacro Graal delle ferie italiane.
Erano i giorni del “non c’è più neanche un buco di ombrellone”, del “abbiamo solo lo strapuntino vicino ai bagni chimici”, del “guardi, se vuole possiamo offrirle un lettino in spiaggia”.
Erano. Perché ora, signore e signori, non è più così.
Verso la fine di luglio ho scritto un pezzo titolato “Spiagge vuote e portafogli leggeri”, (https://www.tviweb.it/spiagge-vuote-e-portafogli-leggeri-cronache-balneari-dalla-decadenza-italiana/) che non era una metafora poetica: bensì la triste fotografia dell’Italia balneare 2025.
Evidentemente ho colpito nel segno, perché a quanto pare moltissimi lettori si sono riconosciuti nel racconto, in particolare nella difficoltà a scucire 150/180 euro per una giornata in spiaggia con la famigliola.
Sul caro spiagge, sul caro vacanze quindi non ci torno, perché mi sembra di avervi già detto tutto.
Ed anche perché ad oggi, con Ferragosto alle porte, mi sembra che la musica non sia cambiata.
Faccio un riassunto flash per fretta e stanchezza da caldo: “più presenze in montagna, meno al mare”.
Un mantra ripetuto ormai da ogni bollettino turistico, ma che ora assume i contorni della diagnosi medica.
Secondo i dati (non le chiacchiere da bar) del Sindacato Italiano Balneari, a luglio le presenze in spiaggia sono calate del 15%. Con punte da codice rosso del 25% in Emilia-Romagna e Calabria. Pure in Toscana e Lazio, il mare langue.
E in Veneto? Nessuno ha stappato lo spumante, tranquilli.
Certo, c’è chi si aggrappa all’ultima boa: “Aspettiamo agosto, qualcosa succederà”.
Sì, qualcosa succederà: dal 20 in poi la gente comincerà a fare le valigie e tornerà a casa.
Come sempre, come ogni anno.
Sarà per la scuola che apre a settembre, sarà per la tradizione, sarà perché Ferragosto è ancora il totem della vacanza all’italiana.
Fatto sta che la piena stagione ha i giorni contati. Dieci, quindici al massimo.
E so già cosa diranno i soliti ottimisti: “Ma ci sono località che registrano il pienone!”
Certo, come no. Anche una rondine ogni tanto vola in anticipo, ma non per questo possiamo dire che sia arrivata la primavera.
Ora, la domanda delle domande: ma davvero è tutta colpa del portafoglio sgonfio?
Sicuramente sì; i prezzi alle stelle, unitamente alle risorse sempre più risicate su cui possono contare le famiglie, sono un fattore determinante, ma non credo sia il solo.
La verità, per quanto scomoda, è che è cambiato il modo di fare vacanza.
Il modello “ombrellone fisso e castelli di sabbia” — mamma che legge Gente, papà che guarda la partita sul telefonino, bambini che scavano buche fino alla falda acquifera — sta andando in soffitta, o forse in montagna.
Perché diciamocelo: noi italiani siamo testoni. Abbiamo tempi di adattamento più lunghi di un trasloco ministeriale, e facciamo fatica a capire che oggi le ferie devono essere più “dinamiche”. Un paio di giorni al mare, e gli altri tre/quattro in giro a scoprire il territorio.
Ma qualcosa si sta muovendo.
L’effetto combinato della pandemia e del cambiamento climatico ha lasciato il segno.
Il Covid ci ha spinto verso la fuga dai luoghi affollati, ed il caldo africano ha reso la sabbia rovente degli arenili sempre meno accogliente.
Il risultato? Un autentico boom della montagna.
E non è finita.
Le temperature record del Mediterraneo, le immagini da apocalisse climatica, i temporali tropicali improvvisi… stanno convincendo anche gli altri europei che forse il Sud Europa non è più così desiderabile.
Nasce così il nuovo mantra del turismo 2.0: la “coolcation”.
Non è uno scioglilingua, ma il nuovo trend: vacanze fresche.
Fuga dai 40 gradi all’ombra verso climi nordici e rilassanti.
Gli inglesi — da sempre un termometro anticipato delle mode turistiche — già da qualche anno stanno prenotando voli per Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia, ed i più benestanti pure per Groenlandia e Alaska.
Non per vedere gli orsi polari, ma per stare sotto i 25 gradi.
Certo, oggi sembrano tendenze marginali.
Ma occhio: sono le crepe di un “sistema vacanziero” che sta per subire profonde modificazioni, se non per crollare.
Quel mondo in cui tutta l’Italia andava in ferie ad agosto, perché chiudeva la Fiat e mezza industria con lei, è ormai un reperto da museo etnografico.
E allora che fare?
Piangere sui numeri in calo serve a poco, specie se lo si fa con la crema solare negli occhi.
Il turismo climatico potrebbe diventare un’occasione.
Incentivare le mezze stagioni, allungare la durata dell’anno turistico, spalmare i flussi: ecco la ricetta.
Così si combatte l’overtourism, si dà respiro alle località, si smette di concentrare tutto in tre settimane per poi chiudere baracca.
Un sogno? Forse.
Ma in Italia, dove ogni cambiamento è visto come una bestemmia sussurrata, servirà un bello schiaffo per farci svegliare.
Come diciamo dalle nostre parti: “Co l’acua toca el culo, o se impara a noare, o se se nega.”
Ecco, l’acqua è già a mezza pancia. Decidete voi.
Umberto Baldo













