8 Agosto 2025 - 9.02

14 miliardi par el Ponte? Seto dove che te te lo poli me tare…

Chissà se, nei comizi che sicuramente terrà anche in terra veneta in vista delle prossime regionali, Matteo Salvini avrà l’ardire di vantarsi e magnificare la sua recente “grande opera”: il via libera alla costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina.
Uso la parola “ardire” non a caso.
Perché se è vero che, almeno sulla base della mia esperienza diretta, parlare con amici ed elettori storici della Lega in Veneto è ancora utile per tastare il polso dell’umore popolare, allora si può dire che a mio avviso l’entusiasmo per quest’opera non abbia ancora varcato il Po (ammesso che sia arrivato anche al Volturno o al Tevere, cosa di cui dubito).
A quanto sento, noi qui nel Nordest, più che respirare la storia, ci sentiamo presi per i fondelli.
Già, perché a parlare con vecchi leghisti, di quelli che votavano Bossi quando il sole sorgeva a Nord, il Ponte evoca più sbuffi che entusiasmi.
La domanda ricorrente è sempre la stessa: “Che ce ne frega a noi di un ponte che non vogliono nemmeno calabresi e siciliani?”
Oppure, nella versione più realista: “È l’ennesimo regalo a ‘ndrine, camorre e coop amiche.”
Difficile dar loro torto.
La Lega, quella vera, era roba da Nord produttivo, da battaglie fiscali, da federalismo e “Roma ladrona!”.
Oggi ci ritroviamo un Capitano che fa da testimonial ad un progetto da 13 miliardi (più iva, varianti in corso d’opera, rischio di infiltrazioni mafiose e sondaggi archeologici improvvisi).
Per cosa?
Per tentare di lasciare una firma nella storia, ora che della Lega restano solo i fasti di un tempo che fu?
Un monumento all’ego, scolpito in acciaio e cemento, per dimenticare il fallimento del Viminale, il tramonto del Papeete, la fuga degli elettori verso Meloni e Tajani?
E allora giù numeri roboanti: campata da 3.300 metri, torri da 400, altezza di 72 metri sul mare, il tutto per consentire il passaggio delle navi da crociera, che – come tutti sanno – sono la priorità dei trasporti pubblici italiani.
Roba che pare una brochure per miliardari emiratini, non un’infrastruttura pensata per un Paese con binari ancora a scartamento coloniale, e strade provinciali chiuse per frane dal 1993.
Il sospetto è che questo Ponte sia l’ennesimo giocattolo costoso di un politico in crisi d’identità, che ha già fallito su tutto: Autonomia? Saltata. – Federalismo? Sparito. – Stop sbarchi? Mai visto. – “Pieni poteri”? Ma dai… – Ronde padane? Solo nei sogni. – Diritto di sparare? Per carità. – Castrazione chimica? Non pervenuta.
Ora resta il Ponte. Il suo “Meccano” da adulto annoiato, pagato dagli italiani.
E mentre a Roma si stappa champagne per aver piazzato la prima pietra virtuale (sì, perché per ora di cantieri veri non si è visto nemmeno un piccone), i veneti si fanno due conti.
E così mentre il Capitano sogna l’eternità ingegneristica, il Nord ed il Veneto lo guardano con aria tra lo scettico e il preoccupato.
E non solo per i costi. Perché la domanda vera è un’altra: a chi serve davvero questo ponte?
Sicuramente non ai Sior Bepi e alle Siora Maria che, da buoni veneti con la calcolatrice in tasca ed il mutuo sulle spalle, si chiedono: quante Romee Commerciali si sarebbero potute costruire con quei soldi? Quante frane si sarebbero potute prevenire sul Fadalto o a Tai di Cadore? Quante strade di montagna messe in sicurezza? Quanti collegamenti ferroviari degni di un Paese moderno?
Invece niente.
E ci tocca sentire che l’Italia del futuro passa per Scilla e Cariddi, mentre in Sicilia si viaggia a 40 all’ora su rotaie ottocentesche, ed in Calabria si bestemmia ad ogni curva della statale 106 Jonica.
Il Veneto produttivo, che ogni anno versa miliardi a Roma senza fiatare (troppo), e con poche altre Regioni tiene in piedi tutta la “baracca romana”, si ritrova a finanziare un’opera che non solo non gli serve, ma che viene vissuta quasi come una provocazione.
Un “vezzo” politico da Sud, sbandierato come simbolo di modernità mentre, mi ripeto, la viabilità calabrese è da incubo, ed i treni siciliani sembrano quelli del Regno delle Due Sicilie.
E allora viene da chiedersi: davvero Salvini crede che nel Nord Est ci sia qualcuno disposto ad applaudire al Ponte?
Davvero pensa di poterlo sbandierare in campagna elettorale come fosse il nuovo miracolo padano?
Perché se così fosse, forse non conosce bene i suoi elettori.
Anzi, rischia pure, se dovesse provare a parlarne in qualche comizio a Rovigo o a Feltre, di trovarsi i maggiorenti della Liga Veneta che gli suggeriscono, fra gesti eloquenti e volti sbigottiti: “No Matteo, non toccare l’argomento Ponte di Messina, perché qui ci fai perdere voti!”
Potrebbe anche trovare qualcuno fra il pubblico che, maleducatamente ma in dialetto stretto, potrebbe suggerirgli un’altra destinazione per quel Ponte: «Matteo, sèto dove che te pòli mètartelo ch’el Ponte…?»
Umberto Baldo

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Testata Street Tg Autorizzazione: Tribunale Di Vicenza N. 1286 Del 24 Aprile 2013

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