14 Agosto 2025 - 8.08

Quei mitici Ferragosto del Senatur a Ponte di Legno, fra canottiere e polvere da sparo

Ci sono luoghi che per un qualche periodo diventano “iconici”, per poi, venuta meno la causa di quella simbolicità, ritornare nel dimenticatoio della storia, o alla normalità se preferite.
Una di questi è sicuramente Ponte di Legno, un piccolo paesino bresciano posto all’estremità settentrionale della Val Camonica, collegato tramite il Passo di Gavia alla provincia di Sondrio, e con il Tasso del Tonale alla provincia di Trento.
Una comunità di 1700 anime che abitano a 1260 metri un’ampia conca fra Trentino, Lombardia ed Alto Adige.
Una location perfetta, eccezionale per un uomo politico che negli anni ruggenti evocava senza problemi “300mila bergamaschi pronti a tirare fuori le pistole dalle fondine”, pronti a marciare per difendere una sua creatura immaginaria: la Padania.
Avrete capito che mi riferisco ad Umberto Bossi, che aveva scelto Ponte di Legno come la località dove trascorrere alcuni giorni di vacanza in agosto, che culminavano con un comizio a Ferragosto, comizio che i giornali del giorno dopo avrebbero riportato come fossero tavole della legge: frasi dure, visioni utopiche, insulti calibrati, e quell’odore di polvere da sparo verbale che sapeva incendiare le folle.
Lo si voglia o no, grazie a Bossi quel paesino alpino per un breve periodo entrava nella grande politica, e quel suo parlare alla gente a Ferragosto era diventato quasi una sorta di rito pagano.
Il Senatur era quello che si definisce un “animale politico”, uno che è riuscito dal nulla a trasformare un gruppo di persone, neanche tanto omogenee fra loro, in un’armata in grado di governare, trattando alla pari con un uomo navigato del calibro di Silvio Berlusconi.
Bossi aveva il talento di tramutare un raduno alpino in un kolossal mediatico. Sapeva leggere il vento.
Pazienza se nei territori del Nord il reclutamento spesso avveniva fra bar e bettole, ma alla fine ne è uscita una classe dirigente assolutamente di livello, da Zaia e Fedriga.
Indubbiamente un sognatore temerario, capace di tenere in piedi le osterie gigionando di cose domestiche, e affabulando su progetti impensabili.
Inutile nasconderlo, un politico che sapeva di terra, di fiumi, di montagne.
Ma che all’occorrenza sapeva abbondonare i toni del guevarismo per ragionare sulle cose, e anche risolvere problemi assolutamente seri.
Bastino le parole che pronunciò con tono biblico nel 2011 appunto al Comizio di Ferragosto a Ponte di Legno:; «Tutti avete capito che è un segnale inesorabile. E’ arrivata la fine dell’Italia, questa è la verità. Abbiamo un debito enorme fatto dai socialisti, dai comunisti, dai democristiani. Siamo arrivati a un punto in cui se Tremonti non riesce a vendere i titoli di Stato all’estero non riesce più a pagare le pensioni e la sanità. Deve chiudere gli ospedali”.
Per poi proseguire: “Siamo al dunque. Bisognava assolutamente fare un po’ di tagli, altrimenti l’Europa ci uccideva stavolta. Nessuno voleva. Ma il problema era: si taglia ai ricchi o ai poveri? Io non ho dubbi. Meglio la nostra gente, i migliori dei poveri, i nostri, che possono andare avanti in battaglia domani per l’obiettivo fondamentale: Padania”.
Il tutto senza rinunciare alla battuta graffiante, cattiva, tipo quella di aver interloquito con Renato Brunetta intimandogli: “Nano di Venezia, non rompere i c…”.
Siamo ancora in clima ferragostano, per cui è inutile lanciarsi in complesse analisi politiche del fenomeno Bossi, un uomo anche contraddittorio per certi versi, che ebbe però il merito di capire per tempo che la Prima Repubblica stava finendo miseramente sulle inchieste del Pool Mani Pulite, tanto da affermare nel 1993: “I giudici sono la cura, ma la guarigione la Lega”.
Uno che sapeva come eccitare gli animi delle genti del Nord, con invenzioni al limite della genialità: le ampolle sacre del Dio Po, la cerimonia annuale al Monviso, la secessione, il governo del Sole delle Alpi, il parlamento padano, le ronde, le camicie verdi, le pallottole, gli insulti ai magistrati, “il manico” agitato a Margherita Boniver, il tricolore gettato nel cesso in un comizio a Venezia, le minacce secessioniste.
Uno che dichiarava senza timori: “Io sono come un barbaro, porto la mia famiglia in battaglia con me. La mia donna e i miei figli devono sentire l’odore della polvere da sparo e il fragore metallico delle spade. La mia crociata è la loro crociata”.
Uno che ci teneva a rimarcare le sue origini e le cose che lo differenziavano dal resto della classe dirigente del Paese, politica e no.
E così nel 1994 quando Berlusconi convocò i Ministri ed i Capi bastone per discutere le sorti del Paese, Bossi andò in visita a Villa Certosa (la grande villa di Porto Rotondo che negli anni Duemila ospiterà anche Putin e Toni Blair) ma non ci soggiornò.
Anzi, appena sceso dall’aereo ad Olbia disse ai giornalisti: «Non andremo ospiti da Berlusconi, noi siamo gente del popolo. Se vuole sa dove trovarci».
E per marcare quella differenza sfoggiò a fianco del Cavaliere un suo look particolare: la canottiera bianca che Bossi indossò con assoluta nonchalance, insieme ad un bermuda, e questo tra le raffinate mise balneari del popolo vip della Costa Smeralda. Quella canottiera che evocava le classi popolari divenne così emblema della filosofia antisistema (pur da dentro il Governo) della Lega Nord di quegli anni. Tanto che a quell’indumento “operaio” è stato anche dedicato un libro.
Chi ha vissuto la sua parabola lo descrive “infaticabile”, un po’ come lo sono tutti i visionari.
Ricordano che aveva i bioritmi ed il fuso orario di un conte Dracula, un animale notturno, amabile e compagnone.
Umberto Bossi non cambiava le sue abitudini e metabolismo neppure a Ferragosto: di giorno dormiva, e quando scendeva la sera balzava in piedi come un grillo e cominciava la sua lunga notte di lotta e di governo, fra acqua e menta e sigari toscani.
Tanti anni sono passati, l’Italia non è più la stessa, l’odore di cordite si è dissipato, sono finite le visioni, i sogni, i miti, gli slogan sono tornati chiacchiere.
Tutto finito, come lacrime nella pioggia.
Eppure vi confesso che provo un po’ di nostalgia di quei Ferragosto in cui Ponte di Legno per qualche giorno diventava La Mecca della politica, e di quel tradizionale comizio in cui un Umberto Bossi altero e sicuro lanciava strali ai Governanti, e parole d’ordine alle sue fantomatiche armate “bergamasche”.
Oggi la Padania è evaporata, la polvere da sparo è stata sostituita dalle chat di partito, ed i Ferragosto politici sono foto su Instagram.
Eppure, tra una grigliata ed un gavettone, un po’ di rimpianto per quei teatrini estivi viene.
Forse perché, almeno allora, la politica faceva spettacolo “dal vivo”.

Umberto Baldo

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