Morire per un like. Ma davvero è questo il nuovo eroismo?

ISCRIVITI AL CANALE WHATSAPP DI TVIWEB PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO
Agganciati all’ultimo vagone del treno per “surfare“ sui binari a velocità folle finché il fisico non regge. Finora non lo avevamo ancora visto.
Almeno fino a qualche giorno fa, quando sono state postate dagli stessi giovanissimi “novelli eroi” le immagini – foto e video – dell’ultima sfida social che oggettivamente faccio fatica a stabilire se sia più pericolosa o più idiota.
Si tratta del ”train surfing”, ultima trovata di adolescenti, ovviamente minorenni, rigorosamente camuffati con cappuccio e maschera, che si aggrappano all’ultimo vagone della metropolitana nella tratta in cui corre all’aperto.
Come vi dicevo, il fatto in sé non è una assoluta novità, perché sui loro profili sono apparsi nel tempo idiozie come l’arrampicata sulla torre di via Masaccio, la scalata dello stadio di San Siro, o dell’Arco della Pace.
Si chiamano “Challenge”, si diffondono on line, e sono un crescendo rossiniano di sfide sempre più pericolose per la salute o la vita stesa dei ragazzi.
C’è poco da fare.Per chi ha qualche anno di più credo sia impossibile penetrare in questo “universo parallelo” che spopola sui social network, e si nutre dall’attenzione di chi li frequenta.
E quando parlo di sfide “rischio morte” non sto esagerando.
Immagino ricorderete che un paio di anni fa ad un certo punto comparve il cosiddetto “Planking Challenge”, una vera e propria genialata in cui la scommessa era quella di stendersi sull’asfalto ed aspettare l’arrivo delle auto, scappando all’ultimo momento.
In poche parole la morte sfidata spavaldamente in diretta per i propri followers sul web.
Adesso sembra che la moda disdraiarsi sulle strade siasuperatama, come è regola in questo mondo di “deficienti”, è stata sostituita appunto dall’assalto al treno o altro.
Avrete ormai capito che le “Le challenge” sono sfide che vengono lanciate online da qualunque utente della rete, ma quelle più famose sono quelle ideate o diffuse da chi ha più followers.
Una volta promosse diventano famose anche tramite passaparola, ed i riflettori sono puntati ovviamente solo su quelle più negative e pericolose.
Credo sia intuitivo che tutte queste sfide si basano sulla ricerca del bene più prezioso di questo tempo: l’attenzione.
Una ricerca che si trasforma spesso in una vera a propria droga, ma che è alla base di un fenomeno di intrattenimento che negli ultimi anni si è diffuso a macchia d’olio, in particolare fra gli adolescenti.
Parliamo di tipologie di contenuti che trovano la loro sublimazione sia su TikTok che su Instagram che su Youtube.
Il problema è che vengono seguite quando sono diventate popolari; e generalmente quanto più sono estreme, tanti più ragazzi le imitano.
Siamo nella società della distrazione di massa, in cui si cerca di catturare l’attenzione in pochi secondi.
Siamo inondati di video, e la nostra attenzione è costantemente alla ricerca del contenuto ‘forte’ che spesso per i nostri ragazzi coincide con quello estremo.
Guardate che volutamente non mi soffermo su altre social mode più preoccupanti, che nell’ultimo periodo sembra abbiano preso sempre più piede tra gli adolescenti; le cosiddette “challenge autolesive”, forme di attacco al corpo per mostrare il proprio coraggio a se stessi ed agli altri, in cui vince chi riesce a sopportare più a lungo il dolore, e il tutto documentato dall’obiettivo di uno smartphone.
Non ne parlo per non dare pubblicità a queste pratiche da dementi.
Che dire?
C’era un tempo in cui si rischiava la vita per salvare qualcuno, per difendere un ideale, per ribellarsi ad un tiranno.
Oggi si rischia la vita per… un selfie su un treno in corsa.
Benvenuti nel mondo alla rovescia, dove l’idiozia è spettacolo, ed il coraggio si misura in visualizzazioni.
Che si salga su una torre o sul Duomo di Milano, o su un treno in corsa l’obiettivo vero è postare il video su Tik Tok, sperando che diventi virale. Inutile dire che si rischia la pelle, ma tanto morire in diretta è più cool che vivere anonimi, no?
Ma come è possibile che i nostri ragazzi si siano ridotti così?
A ben vedere questi adolescenti non sono pazzi. Sarebbe troppo facile, troppo autoassolutoria questa conclusione.
Sono i figli di un’epoca drogata di visibilità, cresciuti in un mondo dove “esistere” significa essere visti, dove l’identità si costruisce attraverso i follower, non con l’intelligenza, l’empatia od il talento.
Un video virale vale più di un diploma o di una laurea, una “challenge” folle più di un’esperienza vera.
E d’altronde, anche senza fare nomi, non siamo stati sommersi per mesi dalle squallide vicende personali e finanziarie di certi “Influencer”; neanche fossero affari di Stato.
I social – TikTok in testa – sono progettati per premiare l’eccesso, non il merito.
L’algoritmo non vuole pensiero critico, vuole clic, emozioni forti, adrenalina.
E così, l’unico modo per emergere è sfidare la morte con un sorriso idiota stampato in faccia.
Rimane sullo sfondo, inevasa, la domanda: ma dove sono gli adulti?
I genitori sono distratti, la scuola impotente, le istituzioni cieche?
Tutti scandalizzati, ma nessuno che faccia qualcosa di serio?
Il massimo dell’intervento è il solito minuto di silenzio quando ci scappa il morto, qualche post indignato su Facebook, e poi avanti con il prossimo video virale.
Vogliamo dirlo con chiarezza?
Questa è una generazione tradita, non perduta.
Tradita da un mondo che le ha tolto valori, senso del limite, educazione emotiva, e le ha regalato in cambio uno smartphone ed un abbonamento illimitato alla fiera della vanità.
Forse dovremmo smettere di puntare il dito solo sui giovani.
Chi ha costruito il sistema che li spinge a questi gesti? Chi ha rinunciato a fare il genitore, l’educatore, il testimone?
Chi ha accettato che la parola “Influencer” valga più di “Insegnante”?
Siamo noi gli adulti di riferimento, o solo dei boomer col telecomando in mano e l’alibi pronto?
Dopo ci sarebbe comunque da discutere su quella parola tanto di modo oggigiorno che mi fa rizzare i peli; ascolto.
Già perché non si tratta di fare gli aguzzini dei ragazzi che sbagliano a sfidarsi sui Challenge; ma chi come me ha qualche primavera sulle spalle, e comunque appartiene ad una generazione dove i genitori erano “genitori” e non “amici, sa bene che nel caso in cui avessimo fatto cazzate tipo l’assalto al treno ci avrebbero presi a “calci in culo” per tutto il paese.
Sarebbe bello se qualcuno, prima o poi, lo dicesse forte e chiaro ai ragazzi: la morte non è un contenuto da postare.
Non è un mezzo per diventare famosi, non è un palcoscenico da cavalcare. È una tragedia. E nessun like, nessun video, nessuna condivisione vale il prezzo di una vita buttata.
Ma per dirlo, bisognarimettere al centro ii valori della vita reale, non quella inquadrata da un filtro.
E servono adulti che abbiano il coraggio di parlare, educare, anche sgridare, e se necessario riesumare la pratica dei “calci in culo”.
Perché possiamo ragionarci su finché vogliamo, ma dietro ogni ragazzino appeso a un treno, c’è una società che ha smesso di fare il proprio mestiere.
Umberto Baldo













