10 Maggio 2021 - 11.40

La disumanità da Covid

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Di Umberto Baldo

Pensavo, o meglio speravo, che la contrapposizione fra giovani e anziani in tema di pandemia fosse ormai un qualcosa di superato.

Che le polemiche che avevano imperversato all’inizio dell’epidemia da Covid 19, quando di fronte agli ospedali presi d’assalto dagli infettati, in molti Paesi ci si era addirittura posti il problema drammatico se il medico rianimatore dovesse scegliere se dare l’ossigeno ad una persona giovane, con prospettive di superare la malattia, piuttosto che ad un anziano con poche prospettive di salvezza, fossero ormai un ricordo del passato.

Evidentemente mi sbagliavo, visto che alla trasmissione dichiaratamente populista condotta da Paolo del Debbio “Dritto e Rovescio”, una ragazza romana intervistata per strada nel corso di un servizio sul coprifuoco ed i problemi dei locali notturni, ha detto testualmente «Le persone che muoiono di Covid quanti anni hanno? Io dico che comunque i giovani della mia età non muoiono di Covid, ma neanche mio padre che ha 50 anni. A morire sono le persone anziane: a questo punto ti dico la verità, io tengo molto ai miei nonni, ma se devono morire, morissero”.
Inutile dire che il video, una volta postato su Twitter, è diventato come si usa dire “virale”, suscitando le reazioni, fortunatamente indignate, di moltissimi “cinguettatori”.


E fra i vari commenti segnalo quello di una ragazza che ha scritto “Che società consumistica e materialista. Senza empatia e discorsi superficiali. Siete allucinanti, mi fate vergognare della mia generazione!». Mentre un’altra si chiede «Sapete in quanti ragazzi la pensano così? E sapete perché? Semplice: non si informano su ciò che accade nel mondo. E non interessa loro informarsi”, ed un’altra ancora: “Molte odierne persone anziane hanno fatto sacrifici inimmaginabili per dare l’aperitivo a questa cretina. Questa pur di fare l’aperitivo sotterrerebbe tutta la famiglia”.
Certo si potrebbe pensare che la ragazza in questione, forse inebriata dalla prospettiva di vedere il suo bel faccino in una trasmissione nazionale, si sia fatta prendere la mano, senza ponderare bene le parole.
Cosa non si farebbe per una comparsata anche di pochi secondi in Tv, per la notorietà di un attimo, anche se ottenuta dicendo cretinate!
Ma credo che sarebbe un errore minimizzare, perchè diventa importante a mio avviso la domanda di quell’altra giovane donna: Sapete in quanti ragazzi la pensano così?
Già, quanti ragazzi pensano che i vecchi hanno fatto il loro tempo, hanno vissuto la loro vita, per cui possono tranquillamente togliersi di mezzo, cedendo il passo ai giovani?
Non è solo il problema della totale mancanza di empatia, qui in ballo ci sono i più elementari principi di umanità, completamente annullati in quel “I miei nonni, se dovessero morire, morissero”.
E non è che si tratti dei deliri di una ragazzina viziata ed ignorante, perchè io non ho dimenticato le dichiarazioni di alcuni giovani romani del quartiere San Lorenzo, che circa un anno fa alla trasmissione televisiva “In Mezz’ora” hanno detto: “Chi è che crepa? Gli ultrasettantenni? Embè? E che ce ne frega a noi? Possono pure crepà: mo nun è che io devo smette de uscì pe’ sta propaganda”.
Viene da chiedersi se è valsa la pena investire denaro dei contribuenti per far studiare la ragazzina di “Dritto e Rovescio”, se questi sono i risultati.
Forse era più opportuno avviarla verso un lavoro più adatto a lei, ad esempio la bracciante in agricoltura, con tutto il rispetto che meritano questi lavoratori indispensabili per l’economia.
E mi piacerebbe anche sentire cosa ne pensino i suoi insegnanti, ed i suoi genitori. Se siano cioè soddisfatti del loro lavoro, e del loro impegno educativo.
Perchè, comunque la si pensi, a colpire è la disinvolta disumanità, l’assoluta mancanza di pena, di rispetto, per le decine di migliaia di anziani falciati dal Covid.
Intendiamoci, lo so bene che tre ondate di pandemia durate oltre un anno hanno esacerbato gli animi, che la voglia di tornare alla normalità possa indurre a dire basta con le limitazioni, che possa spingere a desiderare il fatidico “liberi tutti”, ma questo non giustifica che si debba arrivare al “mors tua, vita mea”.
Ed il sospetto è che sia ormai la maggioranza del Paese a pensarla così, pronta cioè a sostenere la tesi che sia giunto il momento di tornare a godersela in tempi brevi, infischiandosene dei danni collaterali derivanti da una precipitosa ed incontrollata “fuga in avanti”.
E pazienza se tutto questo potrà implicare che altre migliaia di persone finiranno intubate nei reparti di terapia intensiva, e magari poi al cimitero.
Un ben pax all’anima loro, e via in discoteca, o all’apericena.
E’ questo l’insegnamento della pandemia?
E’ questo il lascito di un anno di limitazioni e sofferenze?
L’affermarsi dell’idea che il virus non deve più costringere la gente a tenere alto il livello di autoprotezione, in primis il distanziamento sociale, perchè in fondo in virus fa strage solo di un’umanità scaduta ed avariata!
Davvero si può credere che se il coronavirus determinasse una grande scrematura dei vecchi, alla fine ci sarebbe un mondo più ricco, più eguale, più libero, più produttivo?
Non voglio ricorrere ad immagini “emotive” o “pietistiche”, ma a quella ragazza vorrei dire che quelle persone che “se devono morire, morissero” sono uomini e donne che, e non è retorica, sono uscite da una guerra devastante, e senza contare su “redditi di cittadinanza” o altre simili misure assistenzialiste, si sono rimboccati le maniche, hanno tirato la cinghia, hanno lavorato, hanno creato imprese e ricchezza; in breve hanno fatto questa Italia che, nel bene e nel male, è fra le nazioni più avanzate al mondo.
Quindi è umanamente e moralmente inaccettabile che questi italiani vengano trattati come zavorra da sciacquette interessate solo all’aperitivo delle cinque, ed agli assembramenti con gli amici.
Usando un’immagine ormai abusata, ricordo che Virgilio nel Libro II° dell’Eneide, quando descrive l’incendio di Troia, narra che Enea lascia la città ormai perduta portando sulle spalle il vecchio padre Anchise, e per mano il figlio Ascanio. In una sorta di alleanza fra generazioni, in cui chi è più forte aiuta chi per età è in difficoltà, sia esso anziano o bambino.
Voglio pensare che la nostra civiltà sia quella di Enea che porta Anchise sulle spalle, e non quella dello scarto o degli effetti collaterali.
Se quella ragazza avesse fatto tesoro degli studi che noi contribuenti le abbiamo gentilmente offerto, ammesso che l’Eneide si studi ancora nella nostra disastrata scuola, avrebbe appreso che la civiltà nasce da quel rapporto parentale, ma soprattutto umano, che lega Enea al vecchio Anchise ed al giovane Ascanio. Se si spezza quel legame non c’è più consorzio umano, non c’è più “pietas” avrebbero detto gli antichi, ed allora diventa accettabile il sacrificio dei più deboli.
Non è vuota retorica, e forse quella ragazza lo capirà fra qualche anno, quando arriverà anche per lei la vecchiaia, con i suoi acciacchi e le sue debolezze. Allora si renderà conto, mi auguro, dell’enormità di quel “se devono morire, morissero”. E spero che, ripensandoci, se ne vergognerà.
Umberto Baldo

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