5 Marzo 2025 - 9.49

Italia Paese del “NO”

ISCRIVITI AL CANALE WHATSAPP DI TVIWEB PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO

CLICCA QUI

Umberto Baldo

Non se a voi capita, ma talvolta mi viene in mente una frase, un concetto, magari sepolto per anni nei meandri della memoria, che improvvisamente mi induce a riflettere.

Così qualche giorno fa mi sono riaffiorate queste parole pronunciate secondo Indro Montanelli da Charles De Gaulle: “L’Italia non è un Paese povero, ma un povero Paese”.

Non ho trovato né l’occasione in cui sarebbe stata detta, né le motivazioni che avrebbero spinto il campione della “grandeur francese” a pronunciarla. 

Ma non vi nascondo che il concetto mi ha attizzato, e ho finito per chiedermi: Ma che razza di Paese è oggi l’Italia?”

Ormai passata alla storia la retorica ridondante e gonfiata del Risorgimento, archiviata quella del regime fascista, cos’è l’Italia attuale?

Ci ho rimuginato un po’ sopra, e di primo acchito la risposta che mi è venuta è questa: “l’Italia è il Paese del NO”.

Non pensiate che io sia ammalato di esterofilia, che creda che oltre le Alpi non ci siano problemi e tutto vada al meglio.

Lo so bene che non è così, e che gatte da pelare le hanno anche i laeder dei Governi degli altri Stati, ma il vero problema è che da noi, nel “bel paese là dove ‘l sì suona” come lo definiva Dante, quella del ”sì” è stato soppiantata dalla cultura del “no”, o se volete anche del “nimby”.

Per spiegarmi meglio, la nostra Italia, “aaa Naaaaazzziiiione” come la definiscono i patrioti che ci governano attualmente, è ormai caratterizzata da un tratto distintivo. Che consiste nella difficoltà, oserei dire anche fatica, ad affermare la propria identità, a saper scegliere  i percorsi ai quali affidare il proprio cammino ed il proprio futuro, a dimostrare la capacità di decidere ed operare in questi tempi assai travagliati e complessi.

Credo sia evidente che mai come ora qualunque scelta non sia né chiara né definitiva, e l’agire politico sia caratterizzato da incapacità, da indecisione, da una così netta separazione fra gli annunci e la realtà dei fatti.

Già perché tutta questa superficialità ed improvvisazione è anche il frutto dei tempi della nuova comunicazione.

Ogni tema, ogni argomento, anche se di grande rilievo, viene affidato ad uno spot, ad uno slogan, ad un tweet, oltre a tutto con l’obiettivo di arrivare prima degli altri politici, anche se alleati di governo.

Non meraviglia se il dibattito pubblico risulta immiserito, perché nei cittadini è venuta meno la cultura dell’ascolto, della riflessione, dall’approfondimento, della comprensione, ma soprattutto del rispetto dell’altro. 

Però attenzione ragazzi!

L’Italia non è occupata dallo straniero.

Meloni, Salvini, Tajani, Schlein, Conte, Renzi, Calenda, Fratoianni e compagnia cantante  non sono la malattia, bensì il sintomo.

Se avessimo coraggio e ci guardassimo allo specchio, i loro tratti li vedremmo nascosti tra i nostri.

Non esiste un noi e un loro; esiste solo un noi.

Possiamo non averli votati, possiamo pure essere scesi in piazza contro di loro, ma fin qui non ci sono arrivati con un colpo di mano.

Sono figli di tutte quelle mediazioni, quei rinvii, quelle mezze verità, quella sostanziale supponenza della politica che accettiamo supinamente, perché esprime l’essenza di questa Italia e di noi italiani.

E che ci spinge a sorvolare sul fatto che da decenni viviamo una politica sempre sull’orlo di una crisi di nervi, tra dossieraggi a strascico, provvedimenti annunciati e subito smentiti o ritirati per le opposizioni intransigenti delle categorie colpite,  monopoli, chat velenose,  numeri chiusi, nepotismi, condoni, carriere assicurate, indennità speciali, bonus a pioggia,  proroghe ed esenzioni, ope legis, gilde sindacali, ordini professionali e corporazioni di ogni tipo. 

E’ chiaro che se questo è l’humus, se la politica è così sensibile e condizionabile dagli umori di chiunque alzi un po’ la voce, in un panorama sociale terremotato come quello nostrano, caratterizzato da una struttura politico-statale inefficiente e totalmente screditata, la cultura del rifiuto democratico-radical-giacobino si impone, fino a diventare la regola. 

Se ci pensate bene, provare ad individuare un‘opera, un intervento, relativamente ai quali non ci siano state opposizioni.

E l’Italia è considerata il Paese dei NO proprio perché qualsiasi progetto di rilievo, si tratti di un’autostrada, un impianto energetico, un termovalorizzatore o persino una semplice pista ciclabile, trova quasi sempre un’opposizione radicata.

Ed infatti l’unica cosa che non manca mai in qualunque situazione è il fatidico “Comitato per il NO”.

E non c’è nulla che si salvi da questa “malattia”.

A partire dal Movimento No Vax che relativamente ai vaccini propugna una posizione contraria all’indirizzo consolidato nella comunità scientifica, per arrivare ai No Tav, da anni in lotta spesso violenta contro la realizzazione di una linea ferroviaria.

Ma fare un elenco è del tutto inutile, perché sarebbe infinito.

Basta dire qualsiasi intervento, tipo il No ai termo-valorizzatori, che costringe molte realtà, da Roma a Napoli, ad interrare i rifiuti o addirittura ad esportarli all’estero, perché costruire inceneritori è un tabù.

O addirittura il No alle pale eoliche o ai parchi fotovoltaici perché deturpano il territorio.

O ai rigassificatori perché rovinano lo ski line delle nostre coste.

Per arrivare a casi, come ho di recente visto in quel di Padova, di cittadini che si oppongono con veemenza all’abbattimento di due (dico due) alberi per fare posto ad una pensilina del tram.

C’è comunque da dire che ad aiutare queste “opposizioni”  sono le “regole” italiane, intricate e contraddittorie, tanto che chi vuole realizzare un’opera si trova impantanato in una congerie di vincoli ambientali, urbanistici, paesaggistici ed amministrativi. 

Il risultato è che mentre in altri Stati le opere si realizzano in pochi anni, in Italia servono decenni, o non si fanno affatto. 

Per fare un solo esempio facile facile, che tutti abbiamo toccato con mano; quanto tempo ci vuole da noi per fare una semplice rotonda?  Fra studi, discussioni, prove, spesso non basta un anno.  Un tempo in cui altrove si fa un ponte o una strada.

Almeno tutto questa lentezza, questa “ponderatezza”, avesse come contropartita una maggiore attenzione ai costi. 

Ma quando mai!  Da noi, per limitarmi ad un solo esempio, un chilometro di ferrovia ad Alta velocità costa 61 (sessantuno) milioni di euro, mentre in Giappone solo 9,8 milioni, in Spagna 9,3 e in Francia 10,2 (fonte Eunews).

Chi ci rimette?

I cittadini, chi se no!   Che pagano servizi inefficienti e infrastrutture vecchie in un Paese che arranca.

Spesso il “NO” ad un ‘opera non è così netto, e assume le caratteristiche del “Nimby”, acronimo di “Not in my backyard”, che significa letteralmente “Non nel mio giardino”.

Si tratta di un’espressione nata  per descrivere il rifiuto da parte delle comunità locali verso nuove infrastrutture, impianti o mutamenti sociali in un determinato territorio, e concretizza un fenomeno estremamente ampio, connesso alla difesa di interessi specifici, economici, politici, personali, e consolidati contro un interesse generale.

In parole povere Nimby si traduce in: “non siamo contrari all’opera o all’intervento, basta che lo facciate da un’altra parte!”  

Da notare che sovente assume i connotati di una battaglia politica o ideologica.
Ma quello che sfugge ai più è che il Nimby oggi vede come primo attore proprio la politica, tanto che si può parlare di Nimot (“Not in my terms of office”, “Non durante il mio mandato elettorale”).

Ciò spiega ad esempio come il Governo spesso non riesca a convincere dell’utilità di un’opera magari un Sindaco della stessa parte politica.

Concludendo le mie riflessioni, mi sono posto due domande: la prima se Dante al giorno d’oggi magari cambierebbe il suo verso in “bel paese là dove ‘l no suona”; la seconda se per caso De Gaulle non avesse ragione a definere l’Italia come “un povero paese”.

Provate a rispondere voi.

Umberto Baldo

Potrebbe interessarti anche:

Italia Paese del “NO” | TViWeb Italia Paese del “NO” | TViWeb

Testata Street Tg Autorizzazione: Tribunale Di Vicenza N. 1286 Del 24 Aprile 2013

Luca Faietti Direttore Fondatore ed Editoriale - Arrigo Abalti Fondatore - Direttore Commerciale e Sviluppo - Paolo Usinabia Direttore Responsabile

Copyright © 2025 Tviweb. All Rights Reserved | Tviweb S.R.L. P.Iva E C.F. 03816530244 - Sede Legale: Brendola - Via Monte Grappa, 10

Concessionaria pubblicità Rasotto Sas

Credits - Privacy Policy