Il pensiero critico è un reato: avvisate i professori”. Il sapere non serve. Basta credere e comprare

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Umberto Baldo
Forse non tutti sanno che Sulla Gazzetta Ufficiale del 28 agosto del 1931 apparve il Regio Decreto n. 1227, che all’articolo 18 obbligava i docenti universitari a giurare devozione «alla Patria e al Regime Fascista».
Forse non è male leggerne il contenuto: “I professori di ruolo e i professori incaricati nei Regi istituti d’istruzione superiore sono tenuti a prestare giuramento secondo la formula seguente: Giuro di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime Fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di esercitare l’ufficio di insegnante e adempire tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla Patria e al Regime Fascista. Giuro che non appartengo né apparterrò ad associazioni o partiti, la cui attività non si concili coi doveri del mio ufficio».
Su 1225 professori (allora i docenti erano veramente pochi rispetto ad oggi) solo 12 ebbero il fegato di rifiutare il giuramento pur sapendo di dover subire, quale inevitabile conseguenza, il licenziamento; tutti gli altri firmarono
Credo valga la pena ricordare chi furono questi 12 “Professori” che ritennero che la cultura dovesse essere al di sopra della politica, e che l’Università non dovesse diventare una “dependance” del Regime Fascista: Francesco Ruffini, Mario Carrara, Lionello Venturi, Gaetano De Sanctis, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Ernesto Buonaiuti, Giorgio Errera, Vito Volterra, Giorgio Levi della Vida, Edoardo Ruffini Avondo, Fabio Luzzatto.
Inutile dire che la conseguenza per tutti i dodici “renitenti alla firma” fu l’allontanamento dalla cattedra universitaria.
Degli altri, fedelissimi, nessuno ricorda più il nome; ma quelle 12 voci dissenzienti sono diventate il simbolo di ciò che l’Università dovrebbe essere: coscienza critica della Nazione, non il suo megafono servile.
Fin dal 1088, quando a Bologna gli studenti diedero vita alla prima Università della storia, gli Atenei sono stati spazio di confronto, non di conformismo.
Tra le loro mura, per secoli, si è messo in discussione tutto: Dio, la scienza, la legge, l’uomo, perché non c’è progresso senza il coraggio di interrogare anche le certezze.
Di conseguenza chi vuole un’Università silenziosa sogna una società docile; ed i poteri forti temono più una cattedra libera che una piazza piena: perché il pensiero libero è il seme di ogni rivoluzione pacifica.
Ma il sapere, per sua natura, è inquieto, e l’Università non è un luogo per indottrinare, ma per dubitare.
È il dubbio, non il dogma, che apre la strada alla verità.
Questo però non vuol dire che tutto ciò che avviene negli Atenei sia il bene assoluto; e su questo tornerò più avanti.
Ho fatto questa lunga premessa perché il Presidente Donald Trump, fin dal suo insediamento, ha scatenato una campagna forsennata contro il mondo universitario statunitense, che da sempre considera un baluardo del liberalismo e della cultura progressista, contraria alla sua.
Con una serie di ordini esecutivi, firmati lo scorso 23 aprile, ha lanciato un attacco diretto alle università e ai college, accusandoli di essere troppo “woke”, cioè impegnati in politiche inclusive e di giustizia sociale.
Le università prese di mira finora sono state sette, tutti istituti d’eccellenza e tutti ubicati in Stati americani che alle ultime elezioni hanno votato Partito Democratico.
Guardate che stiamo parlando veramente del Gotha del mondo universitario americano; Harvard (fondi federali sospesi per 2,2 miliardi con possibilità di arrivare a 9), Columbia, Brown, Cornell, Northwestern, Pennsylvania, Princeton.
Ma sotto indagine sono finite altre decine di Università anche molto note, come Berkeley e la Johns Hopkins University.
Le accuse sono, come accennato, di favorire la cultura woke, ma anche di antisemitismo, e di incoraggiare le proteste pro-Palestina.
Come corollario al taglio dei fondi, è previsto anche il divieto di iscrivere ai corsi studenti stranieri, addirittura obbligando quelli che già li frequentano a lasciare gli Usa.
Guardate, io sono da sempre un accanito avversario della cosiddetta cultura woke (https://www.tviweb.it/la-cultura-woke-e-pericolosa-oltre-che-demenziale/), come pure non sono certo un sostenitore di Hamas e dei Palestinesi, ma non posso accettare nel modo più assoluto la visione del Tycoon e della destra trumpiana secondo cui le Università americane sono centri di indottrinamento dell’ estrema sinistra, covi liberal, fucine di marxismo culturale, dispensatrici di “odio contro l’America”.
Certo, e ne sono convinto, certe posizioni estremizzanti negli Atenei potevano essere evitate, ma da qui a cercare di affossare l’alta cultura americana ce ne corre.
Guardando alla storia siamo di fronte ad un déjà vu; non è cambiato il copione, solo il guardaroba. Niente più orbace e fez, oggi si porta il cappellino rosso “Make America Great Again”. Niente più marce su Roma, ma assalti al Campidoglio in pantaloni cargo e corna vichinghe. Niente più Ministero della Cultura Popolare, ma una task force digitale pronta a bollare come “traditore” chi osa insegnare che l’America non è sempre stata perfetta.
Cambiano le forme, ma la sostanza è la stessa: chi pensa con la propria testa è un nemico.
Come accennato, le Università, da Bologna a Harvard, da Padova a Princeton, sono nate per una sola ragione: coltivare il pensiero critico.
Non servono a formare sudditi obbedienti, ma cittadini consapevoli.
Per questo i regimi, che siano fascisti, comunisti, islamisti o populisti di destra o di sinistra, le temono.
Per questo cercano di ridurle a centri di addestramento ideologico.
Capite bene che, in quest’ottica, il problema non è Trump, ma l’idea, ben più pericolosa, che l’Istruzione Universitaria debba essere “patriottica”, cioè conforme; che i docenti debbano essere reclutati in base alla fedeltà, non alla competenza; che la cultura debba servire a “rafforzare l’identità nazionale”, cioè il potere di turno.
Del resto, cos’è l’Università secondo il trumpismo?
Un fastidio. Un nido di comunisti con la cattedra.
Un posto dove si fanno troppe domande e si danno troppo poche risposte facili.
In fondo, che bisogno c’è della filosofia, della storia, della letteratura, quando puoi guardarti un bel video di TikTok in cui uno ti spiega tutto sul mondo in trenta secondi?
Ma attenzione: Trump non è un’anomalia. È un sintomo.
È il prodotto di una cultura che ha imparato a odiare chi sa più di tre cose, a disprezzare chi studia, a sospettare chi ragiona.
È la vendetta di un elettorato che crede che l’ignoranza sia una virtù, la complessità una perdita di tempo, e l’esperto un nemico.
E guarda un po’: più i cittadini diventano ignoranti, più i politici possono fare quello che vogliono.
A questo punto, diciamolo chiaro: l’università è diventata il bersaglio perfetto.
Non produce voti, non genera profitto immediato, non obbedisce.
E quindi deve essere ridotta al silenzio, o peggio trasformata in una fabbrica di conformismo, con professori addestratori e studenti-robot.
Perché il sogno segreto di ogni regime, palese o mascherato, è un popolo che non sa più distinguere tra opinione e verità, tra libertà e obbedienza, tra cultura e intrattenimento.
Un popolo così si governa facilmente. Gli dici che i migranti portano la peste, e ci crede. Gli dici che l’Europa è il male, e ci crede. Gli dici che la Terra è piatta, e ci fa pure un convegno.
E intanto l’Università, che dovrebbe essere il luogo della resistenza civile e intellettuale, rischia di diventare una caserma del pensiero, con tanto di ispezioni ideologiche.
Ma un’Università che non disturba il potere è inutile. Un’Università che non fa domande scomode è già morta. E un popolo che smette di difendere i suoi professori, finirà per trovare i propri carcerieri.
E quindi cosa si può e si deve fare per opporsi a questa deriva?
L’Università, anche da noi, deve alzare la voce.
Deve smettere di parlare solo ai convegni e cominciare a parlare alla gente.
Deve spiegare perché il pensiero critico non è un lusso da radical chic, ma l’ultimo baluardo contro la barbarie.
Deve ricordare che un popolo ignorante è il sogno di ogni dittatore, e che ogni volta che tagliamo un corso di lettere, stiamo costruendo una gabbia.
Per gli altri, ma anche per noi stessi
Umberto Baldo
PS: Chi lo sa se nel futuro prossimo all’esame di storia non si possa sentire:
D. Chi ha scoperto l’America?
R. Donald Trump
D. E quando è stata fondata la democrazia?
R. Il 6 gennaio 2021 da un gruppo di patrioti che ha compiuto una visita educativa al Congresso













