Il Caucaso e il Corridoio di Zangezur: un altro focolaio pronto a esplodere

Umberto Baldo
Il mondo, credetemi, non è mai stato un posto tranquillo, ma negli ultimi anni sembra che l’instabilità globale stia accelerando.
Alcune zone, però, sono più pericolose di altre.
Solo per fare un esempio a noi vicino, prendete i Balcani: da decenni un mosaico esplosivo di etnie, religioni e rancori mai del tutto sopiti.
Ma oggi voglio portarvi un po’ più a est, in un’area di cui probabilmente sentiremo parlare molto presto, e difficilmente in termini rassicuranti.
Il nome è di quelli che credo veramente pochi conoscono: Corridoio di Zangezur.
Ma segnatelo. Perché dietro questo tratto di terra apparentemente secondario si sta giocando una delle partite geopolitiche più delicate del nostro tempo.
Prima di tutto: guardate la cartina.
Come vi ripeto da anni storia e geopolitica, senza geografia, sono come una sinfonia senza spartito.
Ora osservate bene: il nord dell’Iran confina con Armenia e Azerbaigian, ma con un dettaglio curioso.
L’Azerbaigian controlla un’exclave chiamata Repubblica Autonoma del Nahchivan, separata dal resto del Paese proprio da un sottile lembo di territorio armeno, che arriva al confine iraniano.
È qui che nasce l’idea del “corridoio”.
Sulla carta, dovrebbe servire a collegare il corpo centrale dell’Azerbaigian con il Nahchivan tramite ferrovia e autostrada.
Ma nella realtà è molto di più: è una chiave d’accesso per influenzare l’intera regione, un tempo sotto l’ombrello russo e ora contesa da Turchia, Iran, Stati Uniti e, ovviamente, dagli attori locali.
Dopo la guerra del Nagorno-Karabakh del 2020, l’Armenia, sconfitta e isolata, ha dovuto accettare condizioni durissime, tra cui la costruzione di parte del corridoio stesso.
Ma il progetto corre lungo il confine con l’Iran, che da tempo ha fatto sapere di considerarlo una minaccia alla propria sovranità.
E la situazione è precipitata quando gli Stati Uniti si sono offerti di gestire direttamente il tratto, ufficialmente “per garantirne la sicurezza”.
Tradotto: mettere un piede solido nel Caucaso.
Washington, in realtà, punta molto più in alto: entrare a pieno titolo nel “grande gioco” caucasico, contenere Iran e Russia, intercettare le rotte energetiche alternative a quelle russe e — dettaglio non trascurabile — gestire un affare che vale potenzialmente da 50 a 100 miliardi di dollari l’anno per i prossimi 100 anni.
Non solo: quel corridoio collegherebbe il Mar Caspio con la Turchia, e da lì con l’Europa.
In pratica, una pipeline geopolitica capace di portare gas e merci dall’Asia Centrale all’Occidente, bypassando Mosca.
Un vero incubo per il Cremlino.
Intanto il quadro si complica.
L’Iran è sotto pressione, diviso tra lo scontro con Israele e la disillusione verso la Russia, partner sempre più distratto ed inefficace.
La Russia, dal canto suo, è impantanata in Ucraina e ha ormai perso il controllo di un Caucaso che un tempo considerava il suo cortile di casa.
La Georgia gioca a fare la riformista filo-Mosca ma non si fida, mentre l’Azerbaigian, forte militarmente ed energicamente autonomo, detta legge. Il suo presidente Aliyev non ama certo ricevere ordini.
E adesso anche l’Armenia, storica alleata di Mosca, guarda sempre più a Washington.
In questo risiko caucasico, le alleanze sono fluide, ma gli interessi sono chiarissimi.
Ankara appoggia da sempre Baku, in chiave anti-armena, e per controllare i flussi energetici verso l’Europa. Teheran osserva con preoccupazione. Mosca si scopre marginale. E Washington alza la posta, con il chiaro scopo di privare la Russia della sua maggiore fonte di sostentamento economico, oltre a impedirle di ricattare i Paesi che dipendono dai suoi approvvigionamenti energetici
Il tutto, lo ripeto, per 43 chilometri di ferrovia.
Ma in quei 43 chilometri si incrociano potenze, risorse, ideologie, e la possibilità di riscrivere gli equilibri regionali. Non trascurando anche un messaggio implicito alla Cina, che in Iran ha investito miliardi.
Un altro fronte, un altro potenziale punto di rottura nel sempre più complicato scacchiere globale.
Umberto Baldo













