3 Novembre 2025 - 17.46

I vostri figli vi ‘coglionano’ con i numeri 6-7? Arrabbiarsi non serve a nulla

Nelle scuole, nelle chat e sui social dei più giovani è esploso un fenomeno tanto semplice quanto destabilizzante: dire “sei-sette”, o meglio “six-seven”, in qualsiasi momento per attirare attenzione, far ridere i coetanei e far impazzire gli adulti. È un tormentone che attraversa le generazioni, come “Skibidi” o “Poppy Playtime”, ma con una differenza: non significa nulla. Ed è proprio questo il punto.

Il meme nasce da un brano del rapper americano Skrilla, Doot Doot (6 7), in cui la sequenza numerica non ha un senso preciso. Da lì è esplosa su TikTok e nelle scuole britanniche e americane, dove studenti la ripetono in coro appena sentono i numeri “sei” o “sette”. La gestualità associata — due palmi rivolti verso l’alto, che oscillano come una bilancia — rafforza il senso di appartenenza a una tribù linguistica segreta.

Il Guardian ha raccontato come, nel giro di poche settimane, la parola sia diventata sinonimo di ribellione ludica: un modo per dire “noi ci capiamo, voi no”. Alcuni insegnanti britannici, stanchi di sentirlo urlare in classe, hanno cominciato a vietarlo o a rispondere con ironia: chi lo dice deve scrivere un testo di 67 parole su cosa potrebbe voler dire. Ma l’assenza di senso è la sua forza: nessuna regola lo può disinnescare.

Dal Regno Unito al Veneto

In Italia, il fenomeno sta arrivando con la consueta lentezza ma anche con l’abituale entusiasmo virale. Le prime tracce di “6-7” si sono già viste tra TikTok e i video comici di studenti italiani. Anche a Vicenza e nel resto del Veneto, dove la scuola resta un terreno di confronto generazionale forte, il meme potrebbe presto attecchire. È facile, veloce, e perfetto per creare confusione senza conseguenze gravi.

Gli insegnanti raccontano già piccoli episodi: ragazzi che ridacchiano in gruppo, che scrivono “6-7” sulle lavagne, che lo infilano nei compiti. Non si tratta di una nuova forma di bullismo, ma di un codice di appartenenza, un modo per ribadire l’esistenza di un mondo giovanile che si esprime attraverso l’assurdo.

Perché dà così fastidio

“6-7” non è offensivo né volgare, ma produce un effetto straniante. Rompe il ritmo, interrompe la comunicazione logica, e costringe l’adulto a chiedere spiegazioni. È in quel momento che il meccanismo si compie: il potere passa ai ragazzi, che possiedono una chiave linguistica che gli altri non hanno. È la forma più pura e ironica di ribellione digitale — senza ideologia, senza rabbia, ma con una consapevolezza di fondo: anche il non-senso può essere identità.

I linguisti lo descrivono come “un fenomeno di autoaffermazione generazionale”. Nel vuoto di significato di “6-7” c’è la volontà di affermare che la comunicazione tra giovani non ha bisogno di spiegazioni, solo di riconoscimento reciproco. È un codice, ma anche una risata: un modo di dire “noi ci siamo” nel rumore del mondo adulto.

A Vicenza, come altrove, i genitori che sentono i figli ripetere “sei-sette” non dovrebbero spaventarsi. È solo l’ennesimo gioco linguistico, l’ennesima invenzione passeggera di chi prova a costruire un proprio spazio nel caos del linguaggio contemporaneo. La generazione del “6-7” non vuole dire qualcosa: vuole dire che può — e basta questo a farci sentire un po’ più vecchi.

Secondo il Guardian, la “maledizione del 6-7” può essere spezzata solo togliendole potere: ignorarla o risponderle con ironia. Gli esperti intervistati spiegano che i meme linguistici generazionali vivono di reazione — più gli adulti si irritano, più i ragazzi si divertono. In alcune scuole britanniche gli insegnanti hanno iniziato a disinnescare il tormentone chiedendo agli studenti di spiegare il significato o trasformandolo in esercizio creativo, riducendo così l’effetto di sfida. In altre parole, la chiave non è reprimere il “6-7”, ma svuotarlo di mistero finché smette di essere divertente.

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Testata Street Tg Autorizzazione: Tribunale Di Vicenza N. 1286 Del 24 Aprile 2013

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