18 Gennaio 2023 - 11.32

Fobie e paranoie, tra verità e falsi miti

di Alessandro Cammarano

La paura di qualcosa esiste dagli inizi della storia dell’uomo. I tuoni e i fulmini – per gli antichi greci manifestazione dell’ira di Zeus padre degli dei – passando per le eclissi di sole, il transito delle comete, la luna rossa e via discorrendo sono sempre stati fonte di timore per i nostri antenati che avevano bisogno in qualche modo di “spiegare” i fenomeni naturali dando loro significati fausti o infausti a seconda di quanto convenisse.

Oggi, nell’era della rete selvaggia e del “l’ho letto su un sito specializzato” le cose non sono molto diverse: la paura fa parte di noi stessi, magari qualche volta un po’ troppo però si sa che l’irrazionalità spesso prende il sopravvento sull’intelletto.

Questa volta, sempre all’insegna del politicamente scorretto, si prenderanno in esame un po’ di fobie contemporanee insieme ad altre che qualche fondamento scientifico ce l’hanno.

Una delle patologie – perché alla fine di patologie si tratta – è l’aerofobia, più comunemente chiamata “paura di volare” che per alcuni rende impossibile il viaggio in aereo mentre altri diventano un incubo per il resto dei passeggeri.

Chi non si è mai trovato a viaggiare sullo stesso apparecchio con un aerofobico? Lo si individua facilmente già al banco di consegna del bagaglio da stiva perché il poverino stringe compulsivamente il manico della valigia quasi nel rifiuto di affidarla alla cura della hostess di terra.

Passati, non senza patemi, i controlli di sicurezza che il nostro vive come un abuso si arriva al momento dell’imbarco e qui cominciano i problemi veri. Il posto assegnato – generalmente si trova, sfortunato, ad occupare lo sfigatissimo seggiolino centrale – è la prima occasione per lamentarsi; poi, puntualmente “ruba” la cintura di sicurezza di uno dei vicini seccandosi parecchio quando glielo si fa notare.

Si arriva al decollo e se non si è veloci a ritrarsi il poveretto generalmente afferra il braccio dello sfortunato che gli siede accanto piantandoci più unghie di un gatto che rischia di scivolare dal tetto. Da qui in poi è tutta una richiesta al personale di cabina: dall’acqua al fazzolettino di carta passando per le goccine rilassanti da annusare, il tutto con respiro affannoso e copiosa sudorazione.

Se il volo è a breve raggio lo si sopporta, qualora si tratti di una tratta transoceanica c’è solo da sperate che il tristo figuro si ingozzi di melatonina cadendo finalmente addormentato, il tutto per la tranquillità del resto dei passeggeri.

Era meglio quando si viaggiava solo con le compagnie commerciali sulle quali le bevande alcoliche erano comprese nel biglietto: se non si ubriacava lui allora lo facevano gli altri per non sentirlo più.

Da notare che da studi recenti le probabilità di lasciare le penne a causa di un incidente aereo sono una su undici (Undici!!!) milioni; è più facile rimanere colpiti da un vaso di fiori precipitato da un quinto piano che precipitare da diecimila metri.

A quelli che “se Dio avesse voluto che volassimo ci avrebbe dato le ali” e “io viaggio solo in auto” si potrebbe rispondere che il paragone probabilistico è impietoso in quanto le possibilità di incidente automobilistico mortale sono una su centouno. Meglio l’aereo, no?

Niente affatto gradevole la talassofobia, ovvero la paura delle acque profonde, che impedisce a chi ne soffre non solo di andare in barca, ma anche semplicemente di nuotare. Generalmente può essere associata ad un evento traumatico occorso nell’infanzia o semplicemente alla mancanza dimestichezza con l’acqua. Eppure qualunque piscina di qualunque paese offre corsi di acquaticità anche per adulti.

Ah, la possibilità di incidente infausto in mare – fatti salvi i malori – è di una su sei milioni; più facile rimanerci per l’attacco di uno squalo, visto che qui la percentuale è una su tre milioni.

Chi scrive viaggia tranquillamente in aereo, adora andare in crociera e si sposta in auto con cautela, però soffre a sua volta di un paio di fobie che, negli anni, ha scoperto essere alquanto comuni: dunque via di “coming out”.

Soffro un po’di coulrofobia, ovvero della paura irrazionale dei clown. Devo dire che IT non mi ha particolarmente aiutato ma da quando ho memoria i pagliacci mi provocano una certa qual ansia; se si studia un po’ si impara che le ragioni di questo disturbo stanno nel non poter distinguere i lineamenti veri del clown e nell’esagerazione della mimica facciale e dei movimenti del corpo. Lo studioso di robotica Masahiro Mori ha definito questo fenomeno come “Uncanny Valley Effect” (effetto della zona perturbante): una figura dalle fattezze umane (es. robot e automi antropomorfi) estremamente realistiche, in cui comunque riscontriamo qualcosa che non va, finisce con l’evocare emozioni negative come repulsione e inquietudine. Simile concetto era stato trattato anche nel “Das Unheimliche” (Il Perturbante) di Freud: se qualcosa viene avvertita contemporaneamente come familiare ed estranea, genera una sensazione di angoscia e di rifiuto.

Non bastando l’orrido pagliaccio creato da Stephen King mi fanno parecchia impressione pure le bambole – qui si tratta di pediofobia – soprattutto quelle antiche ed eccessivamente realistiche: sarà stata colpa di Chucky? Probabilmente.

La morale è “volate tranquilli, ma evitate le Barbie”.

Alessandro Cammarano

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