27 Giugno 2025 - 9.36

Figli di Yalta in un mondo che non capiamo più

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Umberto Baldo

Cosa c’è di peggio per ciascuno di noi?

Secondo me non riuscire più a capire il mondo in cui viviamo.

Un giorno ti svegli, accendi la televisione, scorri il telefono, leggi un giornale, e ti rendi conto che qualcosa non torna. Non è più una singola notizia a turbarti, ma la sensazione che il linguaggio stesso del mondo ti stia sfuggendo di mano. Come se fosse cambiato il codice, la grammatica; come se avessi perso il filo che ti teneva collegato al senso delle cose.

Il problema deriva dal fatto che la nostra mente funziona per schemi. 

Abbiamo bisogno di certezze, di modelli, di riferimenti stabili. 

Noi italiani, europei, occidentali, siamo ancora figli di Yalta, e continuiamo a pensare in termini di ordine, blocchi, alleanze rigide, leadership riconosciute, e soprattutto in base ad una logica binaria: Occidente/Oriente, democrazie/autocrazie, amici/nemici.

La geopolitica classica ci offriva questo, con l’Onu come ciliegina sulla torta, che alla prova dei fatti risulta sempre più un carrozzone ormai senza alcun senso. 

Ora invece ci muoviamo in un mondo fluido, dove gli amici di ieri sono i nemici di oggi, dove le alleanze sono liquide, e la verità è frammentata.

Il crollo dell’URSS è stato sì uno spartiacque, ma ha generato una illusione: quella di un mondo unipolare, guidato dagli Stati Uniti, in cui “la storia era finita”, come scrisse Fukuyama. 

Ma non abbiamo capito che quella “fine” era in realtà solo una transizione mal gestita.

E oggi, più che una svolta, stiamo vivendo uno scollamento dell’ordine.

In altre parole noi non siamo ancora dentro un nuovo mondo: siamo solo fuori dal vecchio, ma non abbiamo alcuna mappa aggiornata.

Io penso che la maggioranza di noi non abbia ancora realizzato che il mondo non sarà più lo stesso, ma il vero problema è che non sappiamo ancora neppure intuire  che volto avrà quello nuovo.

La vera domanda, forse, è questa: saremo capaci di adattarci? Di rivedere le nostre categorie mentali, le nostre alleanze, persino i nostri valori geopolitici?

Per ora, molti reagiscono come il passeggero sull’aereo in turbolenza: si stringono al vecchio sedile, si affidano ai riflessi condizionati del passato. 

Ma il pilota è cambiato. E forse, non c’è nemmeno più un pilota unico.

Ci vediamo spaesati perché non riusciamo a pensarci in un mondo senza un centro, senza un’autorità riconosciuta, dove il potere è fluido, distribuito, ibrido. 

Dove si combattono guerre non dichiarate, si stringono alleanze temporanee, si usa l’economia come arma geopolitica, e la tecnologia come campo di battaglia.

Dove serpeggia persino il dubbio che la guerra Israele-Iran dei giorni scorsi sia stata una gigantesca commedia messa in onda per dimostrare che Trump è veramente il “Presidente taumaturgo” che fa finire le guerre con un cenno, od un tocco della mano.

Diversamente non si spiegherebbero le telefonate fra Washington e Teheran e viceversa, del tono “attenzione che stiamo per attaccarvi!”.

Telefonate che sembrano finalizzate a consentire agli iraniani di spostare l’uranio arricchito, ed agli americani di attrezzare la difesa delle basi nei Paesi del Golfo.

Sì, qualche morto c’è stato, ma senza vittime la farsa sarebbe stata troppo scoperta.

Se tutto ciò fosse vero, ed i grandi giornali americani il dubbio quanto meno lo hanno istillato, credo diventi chiaro il perché molti di noi non colgono la svolta: perché ci manca il linguaggio per descriverla. 

Le categorie mentali che usiamo — guerre fredde, egemonie, sfere d’influenza — sono strumenti vecchi per un mondo nuovo. 

E come sempre nella storia, chi continua a ragionare con le lenti del passato finisce con il non capire il presente.

Concludendo (ammesso che sia possibile) dobbiamo sforzarci di capire che i paradigmi mentali con cui ragionavamo non funzionano più. 

Il mondo non è più ordinato secondo le nostre categorie. 

L’Occidente non è più la misura di tutte le cose. E forse non lo è mai stato davvero, se non nei libri scritti da noi.

Ciò che sconcerta, allora, non è solo la velocità del cambiamento, ma l’impreparazione culturale e psicologica con cui lo stiamo affrontando. 

Siamo come chi ha vissuto tutta la vita in una casa con muri portanti e stanze note, e si ritrova improvvisamente in una landa aperta, dove non c’è più né tetto né bussola.

Eppure continuiamo a comportarci come se bastasse ripetere le vecchie formule per riportare ordine nel caos. Parliamo di “valori”, di “alleanze storiche”, di “leadership globale”, come se il mondo ci stesse ancora ascoltando.

Forse è il momento di capire che il mondo non tornerà mai più com’era “prima”. 

Che il passato non ci offre più le chiavi del presente. Che la storia è ripartita, ma non dal punto in cui l’avevamo lasciata.

Che le parole che un tempo avevano un significato, giustizia, libertà, verità, lavoro, famiglia, patria, oggi sembrano diventate etichette vuote, utilizzabili a piacere, in senso perfino opposto.

Che le ideologie si sono sciolte, ma al loro posto non c’è una maggiore libertà: c’è confusione.

Che la tecnologia ci collega in tempo reale, ma non ci capiamo più.

Che  mentre parliamo di intelligenza artificiale, i rapporti umani diventano sempre più stupidi, meccanici, superficiali.

E allora? Allora dobbiamo smettere di essere figli di Yalta. 

Dobbiamo cominciare a pensare in chiave nuova. Senza nostalgie, senza illusioni, senza superiorità morale.

Perché chi non capisce dove si trova, non saprà mai dove andare.

La velocità del cambiamento, l’ossessione per il presente, l’ignoranza del passato, l’eclissi dei valori condivisi… tutto concorre a generare un disorientamento antropologico. E chi si disorienta, si isola. Si rifugia nel silenzio o nella rabbia.

Oppure nella negazione: “Il mondo è impazzito, non è più affar mio.” Ma è proprio questo il pericolo più grande: abbandonare il campo.

Io credo, invece, che proprio in questi momenti dobbiamo fare uno sforzo in più per rimettere in ordine le parole, riaccendere le bussole, ritrovare il coraggio della critica, della scelta, della coerenza.

Anche se tutto sembra remare contro, anche se il mondo ci pare incomprensibile, resta una possibilità: non smettere di guardarlo con occhi liberi. 

E soprattutto non smettere di raccontarlo.

Umberto Baldo

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