Far pagare gli onesti: quando la legge diventa pericolosa

Umberto Baldo
Appena ho potuto vedere la proposta di riforma del condominio, la mia reazione è stata quella che avete letto ieri sera (https://www.tviweb.it/riforma-del-condominio-ovvero-come-farsi-odiare-da-45-milioni-di-italiani-la-genialata-colpire-i-morosi-sparando-sui-virtuosi/)
Di pancia lo ammetto.
Stamattina però leggendo alcuni dei vostri commenti e riflettendoci meglio, mi sono reso conto che questa non è solo una norma sbagliata o iniqua.
A colpirmi è stato in particolare questo messaggio di un caro amico, una persona mite, razionale, fra l’altro benestante: “Al primo addebito che mi trovo sul conto con questa motivazione io (che saldo tutto in anticipo alla prima rata) non tiro più fuori una lira!!! Faranno causa ai morti!”.
Viste reazioni come questa, e ne ho letto sui social moltissime con toni più aggressivi, è d’uopo concludere che c’è un limite oltre il quale una norma smette di essere solo ingiusta o mal congegnata, e diventa pericolosa.
E a mio modesto avviso la norma proposta rischia di avere ricadute sull’ordine pubblico.
Sulla carta tutto molto civile.
Si parla di “responsabilità solidale”, di “tutela dei fornitori”, di “continuità dei servizi”.
Lessico pulito, da convegno giuridico con buffet finale.
Nella realtà, però, il condominio non è un’aula universitaria, è un luogo reale, abitato da persone reali, spesso stanche, nervose, diffidenti: sovente è un concentrato di tensioni quotidiane, rancori sedimentati, invidie millimetriche e ostilità che covano da anni dietro una porta blindata.
E non serve essere sociologi per saperlo: basta aver vissuto, anche solo per qualche mese, in un palazzo dove i rapporti sono tesi.
Io l’ho fatto. E si vive male. Si vive a muso duro, con il sospetto costante, con la sensazione che ogni incontro sulle scale possa trasformarsi in un litigio.
Ora, immaginiamo di inserire in questo contesto una norma che dice, in sostanza: se qualcuno non paga, pagherai tu.
Non per scelta. Non per solidarietà.
Mi auguro di non essere il solo a pensare che in un clima come questo, e gli Amministratori vi confermeranno che è quasi la norma, dire a chi paga regolarmente che dovrà coprire la morosità altrui non è una misura tecnica.
È una miccia.
Perché la morosità non è un concetto astratto.
Ha un nome, un cognome e un pianerottolo.
Ha un citofono, una cassetta della posta, un’auto parcheggiata in garage.
Trasformare quella persona in un danno economico diretto per gli altri significa esporla, isolarla, marchiarla.
E nei casi peggiori, metterla in pericolo.
È qui che molti fanno finta di non vedere il problema: una norma del genere rischia di diventare una forma indiretta di istigazione alla violenza.
Non perché qualcuno scriva “menatelo” in Gazzetta Ufficiale, ma perché si crea deliberatamente un contesto in cui il conflitto è inevitabile.
E quando la legge crea conflitto sociale, non ci si può stupire se prima o poi dalle parole si passa ai fatti.
Le cronache, del resto, raccontano già oggi di liti condominiali finite a coltellate per motivi infinitamente più banali.
Il condomino in regola si sentirà derubato due volte: dallo Stato che non tutela il suo diritto, e dal vicino che “vive alle sue spalle”.
Il moroso, magari davvero in difficoltà, diventa il capro espiatorio perfetto.
Non più un problema da gestire con strumenti legali, ma il volto concreto di un torto subito.
Qualcuno dirà: esistono già meccanismi simili. Vero.
Ma qui si alza l’asticella in modo irresponsabile, normalizzando l’idea che l’onesto debba pagare per il disonesto per imposizione, non per scelta.
E l’imposizione, soprattutto quando tocca il portafoglio, non genera coesione: genera rabbia.
Lo Stato, invece di rafforzare un corretto recupero dei crediti, di distinguere tra il furbo cronico e chi è caduto in difficoltà, di intervenire dove serve sul disagio abitativo, sceglie la scorciatoia più comoda: scaricare il problema su chi è già in regola.
È la solita filosofia: il debitore è intoccabile, il cittadino puntuale è il bancomat di riserva.
Ma il condominio non è una metafora della società. È peggio.
È una comunità forzata, senza distanza, senza filtri.
Le fratture non restano teoriche: si incrociano ogni giorno sulle scale e nell’ascensore.
Chi legifera da un ufficio romano forse non se ne rende conto, ma sta dicendo implicitamente: arrangiatevi.
E quando lo Stato si ritira e lascia i cittadini a regolare i conti tra loro, il rischio non è solo l’ingiustizia. È la violenza privata.
Perché la legge non è neutra: o pacifica i conflitti, o li accende.
E qui la fiamma è già alta.
Umberto Baldo













