Il Meeting di Rimini: Giorgia superstar ed Elly al centro sociale

Umberto Baldo
Ieri, verso mezzogiorno, mi è capitato di accendere la tv.
Su La7 c’era Giorgia Meloni in diretta dall’annuale Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione.
Ho resistito fino alla fine, e non perché sia un eroe, ma perché alla fine certe scene diventano irresistibili.
La Premier si è presa il palco come una rockstar in tour.
A un certo punto si è pure commossa, ringraziando il pubblico come fanno i cantanti quando dicono “siete fantastici, senza di voi non ce l’avrei mai fatta”.
E il pubblico del Meeting, che applaude qualunque premier, ha risposto in coro: “sei tutti noi, Giorgia!”.
Sul merito?
Nulla di nuovo. La solita minestra: riforma della giustizia, aiuti al ceto medio (che per lei comincia sopra i 35mila euro lordi annui, la soglia dei “ricconi”, dei kulaki che tengono in piedi il baraccone Italia), posture internazionali, guerre in corso e quant’altro.
Il tutto condito con l’aria di chi non è lì per proporre, ma per dettare la linea: insomma, “io sono Giorgia, e voi prendete appunti”.
Detto ciò, va riconosciuto, la Meloni sa parlare, sa tenere la scena.
È un animale politico vero, che meriterebbe compagni di partito e di governo meno da circolo della briscola.
E soprattutto ha capito che le elezioni non si vincono solo con i fedelissimi, ma anche conquistando mondi apparentemente lontani: il cattolicesimo da messa della domenica, la Cisl, e soprattutto quell’area moderata che non ne può più di nostalgici neri e nostalgici rossi, e che con la polarizzazione politica degli ultimi decenni non trova più una propria rappresentanza, spesso finendo per non votare.
E qui entra in scena Elly Schlein.
Il Pd, nato per unire cattolici e post-comunisti, avrebbe dovuto presidiare quel campo.
Invece la Segretaria ha scelto di trasformare il partito in un centro sociale 2.0.
Io la chiamo scherzando un po’ la “segretaria dei centri sociali”, ma in realtà pare godersela: diritti arcobaleno, gender, porte spalancate all’immigrazione, “no al riarmo”, salari più alti a tutti. Dove prendere i soldi resta però sempre un mistero, a meno di non rispolverare la vecchia idea delle patrimoniali (forse anche lei pensa di strizzare ancora di più i kulaki).
Un programma molto più in sintonia con i cori da stadio che con le Cancellerie europee.
Risultato: il Pd scivola sempre più a sinistra, in un abbraccio sempre più stretto con Giuseppe Conte e Nicola Fratoianni.
Una sorta di trinità politica che, se fosse onesta fino in fondo, dovrebbe fondare direttamente il “Partito Unico della Sinistra Radical-Populista”.
Almeno eviteremmo l’ipocrisia.
Nel frattempo, i moderati dentro il Pd guardano attoniti.
Picierno, Gentiloni, Delrio e compagnia bella sono diventati gli invitati sgraditi a una festa punk: se non ti piace la musica, fuori dalla porta.
E a ballare sul palco restano solo loro; Schlein, Conte e Fratoianni.
Conte, poi, è il vero vincitore. Perché a differenza di Elly può dire: “io ho governato, io sono stato persino chiamato Giuseppi da Trump”.
Un titolo internazionale che lei non avrà mai.
Se mai ci fossero le primarie per scegliere il candidato premier, rischia pure di vincerle lui, mentre lei resterebbe a distribuire volantini al corteo del sabato pomeriggio.
Morale della favola: il Pd, nato per governare l’Italia, rischia di diventare la claque di un radical-populismo di sinistra che regala il campo a quelli che secondo me sono i due interpreti più veri del populismo italico: Giorgia Meloni e Giuseppe Conte.
Con tanti saluti alla vocazione maggioritaria.
Umberto Baldo













