Generazione bimbi minchia: vodka, SUV e zero fascino, ecco i nuovi cafoni

Visto che, bene o male, siamo arrivati alla fine dell’estate, giornali e social tentano, come si usa dire, di fare il bilancio della stagione.
Ma non necessariamente con riferimento ai numeri dei turisti, agli incassi, alle camere occupate, bensì alle tendenze, alle mode, ai comportamenti di certi settori della società.
In questo filone mi è capitata sott’occhio un’intervista a Jerry Calà, che di gioventù e divertimento se ne intende, nella quale, riferendosi alle estati di un tempo in Costa Smeralda, ricorda: “Paradossalmente qualcosa è rimasto, prendi figli di papà, quelli mica si sono estinti. In Costa Smeralda vedo i ragazzini girare su SUV enormi di giorno, e la sera li ritrovo nei locali mentre ordinano bottiglioni di vodka più alti di loro, solo per farsi vedere”.
Trovo che questa sia l’immagine perfetta dei nuovi cafoni.
Quelli che scambiano la vita con un videospot e la felicità con un selfie da postare.
Altro che ragazzi degli anni Settanta – ricorda sempre Calà – che si spostavano in Mehari scassate, andavano in spiaggia a piedi e scoprivano i locali con la torcia: oggi l’idea di avventura è accendere la carta di credito di papà.
Non più vacanze fatte di chiacchiere, innamoramenti e improvvisazioni: adesso la libidine è avere il tavolone riservato con bottiglie illuminate come alberi di Natale, da immortalare rigorosamente in diretta.
Certo, come ricorda qualcuno nei commenti sui social, si può obiettare che le parole di Jerry Calà racchiudano forse l’amarezza di una persona ormai non più giovane, che guarda fra la nostalgia e il disincanto alla nuova generazione, che non è quella del suo “Sapore di mare”.
Ma quelli descritti, a mio avviso, sono i bimbi minchia 4.0: capelli impiastricciati di gel, sguardo fisso sullo smartphone, linguaggio limitato a “a frà, spacchiamo tutto”.
Non sanno ballare, non sanno ridere, non sanno corteggiare.
L’unica seduzione che conoscono è mostrare l’etichetta della bottiglia (pagata quanto una rata di mutuo) mentre fanno finta di sorseggiarla.
La cafonaggine, un tempo, aveva almeno un suo folclore.
Il “cumenda” col Rolex d’oro, la signora con la pelliccia ad agosto: caricature da commedia all’italiana.
Oggi invece i nuovi cafoni non fanno neanche ridere: fanno pena.
Sono la copia scadente di un’idea di lusso che hanno visto sui social. Nessuna fantasia, nessuna ironia: solo ostentazione.
Il loro è un lusso di seconda mano, preso in prestito dai video trap su YouTube e dai reality di quart’ordine.
Non c’è nulla di autentico, nulla che abbia il sapore di vissuto: solo imitazioni mal riuscite.
Sono i sosia taroccati di una ricchezza che non appartiene loro, un po’ come quei ragazzini che girano con le sneakers bianche candide, ma con il calzino spaiato.
Il guaio è che questa cultura non resta confinata alla Costa Smeralda: la vediamo anche nelle piazze delle nostre città di provincia.
È una sottocultura che scende a cascata, come lo spritz annacquato dell’apericena, e che contamina anche i nostri bar di provincia.
Non serve il Billionaire per riconoscere un nuovo cafone: basta guardare il tavolino del baretto sotto casa, con tre ragazzini che ordinano un cocktail fosforescente al prezzo di una cena completa, solo per potersi fare la foto con la cannuccia in bocca.
Ragazzini che spendono i soldi dei genitori in spritz serviti come la fontanella di fuochi d’artificio, convinti di essere i re del mondo.
Ma dietro quegli occhiali da sole comprati online a 9,90 euro c’è solo il vuoto.
E intanto, mentre i nuovi cafoni ed i loro figli spirituali postano stories da 15 secondi, resta una domanda: cosa resterà di queste estati?
Calà non fa la morale, non condanna i giovani di oggi — del resto è stato icona di una generazione che di divertimento ne sapeva parecchio — ma ci ricorda una cosa semplice: la vera vacanza non è la foto su Instagram, è l’emozione che ti porti dentro.
In altre parole Calà ricorda i falò, le risate, gli amori improvvisi.
Loro ricorderanno solo i conti salatissimi al POS.
E magari neppure quelli, visto che a pagare sarà sempre papà.
L’unico vero brivido che conoscono è quello di controllare l’estratto conto il giorno dopo.
Una volta si facevano i debiti di cuore, oggi solo quelli in banca.
La differenza è tutta qui: chi ha vissuto le estati del passato porta ancora negli occhi immagini, profumi, canzoni.
Questi, al massimo, tra vent’anni potranno dire: “Ti ricordi quella sera che abbiamo ordinato tre bottiglie luminose e il cameriere ha sbagliato tavolo?”.
Ecco, la memoria dei nuovi cafoni sta tutta lì: nel nulla luccicante di una notte che non lascia traccia.













