Estate italiana: il mare nostrum dei balneari (ma solo loro)

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di Alessandro Cammarano
C’è un posto magico in Italia dove il capitalismo selvaggio incontra il parassitismo di Stato, l’arroganza si sposa con l’inefficienza e il prezzo di un lettino sfiora quello di un trattamento in spa, con in più l’omaggio del vicino di ombrellone che ascolta TikTok senza cuffie.
Benvenuti sulle spiagge italiane, dove il bagno lo fai nel mare, ma la fregatura te la danno a riva.
Già alle prime avvisaglie di sole, scatta la liturgia secolare della rapina balneare: due lettini e un ombrellone? Ottanta euro, se va bene, con capanno tiki vista mare, anche se sei praticamente in Turchia. Doccia? A gettone. Wi-fi? Ridiamoci su. Il bar? Una trappola per turisti dove un tramezzino al tonno –se poi è davvero tonno – ti fa rimpiangere il ristorante stellato.
E il personale? A metà tra l’inesperienza e l’insofferenza, con picchi di ostilità passiva degni di un manuale di psicopatologia.
Nel frattempo, mentre i listini lievitano come focacce al sole, il turista evolve: molti stranieri – quei pochi che ancora si avventurano da noi – ormai si portano tutto da casa (o almeno ci provano): frigo portatile, ombrellone cinese, sdraio pieghevole, perfino il caffè in termos. I più organizzati hanno anche il telo antiscippo e lo spray anti-bagnino; del resto, spendere 150 euro al giorno per stare stretti come sardine e farsi dire che non si può spostare la sdraio “perché disturba la geometria del lido” ha stancato anche il più irriducibile dei teutonici.
Nel frattempo, chi cerca spiagge libere vive una caccia al tesoro sempre più disperata.
Le poche rimaste sono minuscoli lembi di sabbia incastrati tra concessioni trisecolari, scogliere aguzze e parcheggi a pagamento. Se poi, per un’indicibile botta di… fortuna le trovi, scopri che sono spesso prive di ogni servizio, sporche, abbandonate, lasciate apposta nel degrado per scoraggiare i “non clienti”. Un’arte sottile, quella di rendere la libertà un problema, così da spingerti dolcemente verso l’ombrellone numerato; il mare è di tutti, dicono, ma solo se paghi.
E mentre la famiglia media conta le monetine per il ghiacciolo, altrove si consuma il delirio dorato dei lidi più esclusivi: Forte dei Marmi, Costa Smeralda, Capri. Là, tra selfie e bottiglie di Champagne in secchielli da 500 euro, i cafoni arricchiti si danno il cambio nel rito quotidiano dell’ostentazione. Infradito griffate, orologi impermeabili da 30 mila euro, mocassini sulla sabbia – sempre una grande idea – parlano ad alta voce di investimenti in cripto e ristrutturazioni “chiavi in mano”, mentre fanno finta di leggere Il Sole 24 Ore.
In realtà stanno aspettando solo che li inquadrino nel reel del giorno, per poi scomparire, come le loro aziende, dopo l’estate.
Eppure, c’è chi ride sotto i baffi. Sono i signori del mare, i balneari, categoria invincibile e intoccabile, con concessioni scadute da decenni, canoni ridicoli –parliamo di 2mila euro l’anno per stabilimenti che a volte ne incassano molti ma molti di più – e un sistema di privilegi fiscali che neanche il Vaticano.
La Bolkestein? Un miraggio. I bandi pubblici? Una barzelletta. Ogni governo promette riforme, ma poi arriva puntuale la retromarcia, tra lobby, ricorsi e piagnistei televisivi sul povero “bagno di famiglia” da difendere. Ma di familiare ormai c’è solo il cognome sui contratti.
Perché la verità è semplice e deprimente: in Italia il mare è pubblico, ma l’accesso è privato. E i bagnanti, da utenti, si sono trasformati in sudditi. Pagano, ringraziano e guai a protestare: “Se non ti va bene, vai sugli scogli”.
Detto fatto: le spiagge libere si affollano di anime in cerca di salvezza, tra sabbia – come si diceva sopra –sporca, assenza di servizi e un’umanità stipata come nel traghetto per l’Egeo. Ma almeno lì il mare è gratis e nessuno ti controlla quante bottigliette d’acqua hai portato.
In conclusione, mentre la stagione turistica langue e il mondo scopre lidi più economici, meglio serviti e – sorpresa – con meno burocrazia e più rispetto per il turista, in Italia si resta fedeli al solito copione: prezzi alle stelle, servizi sotto la sabbia, e una casta di privilegiati che continua a considerare il demanio marittimo come l’eredità dello zio ricco. Un po’ mare, un po’ miraggio, ma soprattutto, un gigantesco affare per pochi, pagato da tutti.













