L’ecologismo europeo è roba da ricchi

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Tutti probabilmente ricordiamo questa battuta di Mario Draghi a proposito dell’embargo del gas russo e delle sanzioni a Putin: “Preferiamo la pace o il condizionatore acceso? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre”.
Allora sollevò un vespaio di critiche e di polemiche, e sicuramente in bocca ad un uomo pacato e riflessivo come Supermario quelle parole suonarono un po’ stonate.
Ma decontestualizzandole e guardando a queste estati sempre più torride, se ci concentriamo sul tema energetico il problema resta quello.
Vi confesso che c’è una domanda che mi frulla in testa da tempo, e che nessuno sembra voler affrontare seriamente: come possiamo pensare di salvare il pianeta riducendo le emissioni solo in Europa, quando il resto del mondo le aumenta a ritmo forsennato?
È una di quelle domande che gli ambientalisti da salotto evitano come la peste, perché incrina la loro bella narrazione fatta di buone intenzioni, biciclette elettriche e piante grasse in soggiorno.
Eppure, i numeri non sono opinioni.
Dal 1990, l’Unione Europea ha ridotto le proprie emissioni di circa il 30%.
Sembra un grande risultato, e forse lo è.
Ma nello stesso identico arco di tempo, le emissioni globali sono aumentate del 60%.
Tradotto: per ogni tonnellata di inquinanti che noi europei abbiamo risparmiato, il resto del mondo ne ha aggiunte 13.
Se domattina l’intero continente europeo sparisse dalla carta geografica, il cambiamento climatico proseguirebbe, e nessuno se ne accorgerebbe.
Ma noi continuiamo imperterriti a raccontarci che spegnere il led in cucina, e chiudere l’acqua mentre ci laviamo i denti, siano gesti “rivoluzionari”.
Si tratta, in realtà, di una nuova forma di religione, una specie di ambientalismo penitenziale, che ha sostituito la Fede con le buone pratiche, ed il Paradiso con il contenimento del riscaldamento globale.
Non usare il condizionatore, mangia tofu e cavolo nero, vai in vacanza in treno, non tirare lo sciacquone se non strettamente necessario!
Intanto, però, l’India accende centrali a carbone una dopo l’altra, la Cina investe sì nel solare, ma contemporaneamente costruisce nuove centrali fossili ad un ritmo che non si vedeva da decenni, e l’Africa rivendica il diritto sacrosanto di utilizzare petrolio e gas per uscire dalla povertà energetica.
Noi facciamo i bravi scolari, mentre il mondo fa come gli pare, e ci fa pure il gesto dell’ombrello.
Questo non è ambientalismo, è masochismo culturale.
L’Europa si è incatenata con le proprie mani a vincoli e limiti autoimposti che strangolano l’economia senza avere alcun impatto reale sul clima globale.
Chiudiamo il nucleare per motivi ideologici, blocchiamo trivelle, impianti e infrastrutture energetiche per motivi estetici, e poi importiamo energia da Paesi che inquinano il doppio, ma lo fanno lontano dai nostri occhi sensibili.
Il tutto mentre ci vantiamo di “aver raggiunto gli obiettivi di decarbonizzazione”.
La verità è che stiamo delocalizzando le emissioni, non riducendole.
E mentre facciamo la predica al mondo intero, ci rendiamo ogni giorno più deboli, più poveri, più dipendenti.
È un Green Deal che somiglia sempre più ad un patto con la nostra decrescita.
Io sarò anche un vecchio rincoglionito, ma chi mi legge sa che da anni scrivo che “l’ambientalismo estremo è una cosa da ricchi!”.
E chi come in Africa lotta per mettere insieme pasto e cena, sicuramente sbagliando ma se ne frega altamente delle nostre paturnie.
Nel frattempo, il futuro si avvicina veloce e sarà, piaccia o no, molto energivoro.
Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, i principali consumatori di elettricità nei prossimi decenni saranno i condizionatori, perché le temperature aumentano e nessuno ha voglia di sciogliersi in salotto, e i data center, perché l’intelligenza artificiale, il cloud, il digitale, sono ormai strutture portanti delle nostre vite.
Pensare di risolvere tutto consumando meno è una pia illusione.
Perché è evidente che nell’immediato futuro, con Pluto ed i suoi fratelli, tutti saranno costretti a dotarsi di condizionatori domestici, con tutto quel che ne conseguirà in termini di consumi.
E d’altronde lo vediamo già che con il caldo di questi giorni i consumi si impennano e le Reti fanno fatica a reggere; da qui i blackout sempre più frequenti.
Il vero tema è come produrre più energia, pulita e abbondante, e per tutti.
Ma di queste cose gli ambientalisti da terrazza non parlano.
Preferiscono citare Greta Thunberg, postare storie su Instagram dalla scogliera di Pantelleria e firmare appelli contro le pale eoliche ed i campi di panelli solari.
Ci tengono alla coerenza: il mondo va salvato, sì, ma senza impianti, senza trivelle, senza gasdotti e possibilmente anche senza fili elettrici in vista.
Sono per un ambientalismo “estetico”, che salva la coscienza più che il pianeta.
Quello che serve, invece, è un ritorno al realismo, alla tecnologia, all’ingegneria.
Servono centrali moderne, reti intelligenti, nucleare di nuova generazione, ricerca sull’idrogeno, cooperazione internazionale vera, non passerelle con buoni propositi.
E serve soprattutto smascherare l’ideologia che ha trasformato la transizione ecologica in un rosario di obblighi, sensi di colpa e sacrifici sterili.
Il problema climatico è globale, ed il nucleare nei prossimi anni può essere una soluzione per tutti.
La CO₂ non ha passaporto.
E l’ambientalismo, se è confinato e praticato in un solo continente, è come il socialismo in un solo paese: una bella favola che finisce male.
Umberto Baldo
PS: poiché alla fin fine tutto è politica, con la “canicule” che ha imperversato in Francia nei giorni scorsi, Marine Le Pen, considerato che il condizionatore nell’immaginario di certa sinistra ambientalista, penitenziale, anti consumista, è ancora il simbolo dello spreco capitalistico, ha promesso che se vincerà le prossime elezioni lancerà un piano per dotare i francesi di aria condizionata ovunque.













