La domanda ineludibile: difesa o welfare? burro o cannoni?

Umberto Baldo
Burro o cannoni?
Chissà se questa fatidica domanda retorica posta da Benito Mussolini alla folla di italiani plaudenti sotto sotto è aleggiata anche fra i sessanta leader che venerdì si sono dati appuntamento a Monaco di Baviera per la Conferenza sulla sicurezza, con all’odg i rapporti tra Ue e Usa, le spese per la difesa, e l’avvio dei negoziati di pace in Ucraina.
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Chi legge le mie elucubrazioni da tempo, ricorderà che sono anni che, con la sensazione a volte di essere percepito come una sorta di Cassandra, sostengo e scrivo che l’Europa deve riarmare pesantemente, con l’obiettivo di dare vita ad un esercito europeo in grado di opporsi alle minacce esterne.
E vi confesso che questa idea ha cominciato a balenarmi in testa in un momento preciso; quando lo zio Vladimir ha invaso la Crimea nel 2014, senza di fatto trovare opposizioni, a parte le vane esecrazioni verbali dell’Europa.
Ed in questi anni mi sono sempre chiesto: possibile che se uno che non conta nulla come me vede in questa invasione la fine di un’epoca, nelle Cancellerie occidentali non siano allarmati?
Evidentemente la vecchia locuzione latina “Quos Deus perdere vult, dementat prius” (quelli che Dio vuole rovinare, gli toglie prima la ragione) ha qualche fondamento.
E mi dispiace, ma mi viene da sorridere, perché l’atteggiamento dell’Europa di oggi mi sembra quello di un bambino quando scopre che Babbo Natale non esiste.
Già perché noi europei facciamo fatica a capire che Trump è solo l’epifenomeno di un ordine mondiale, immaginato e disegnato a Yalta, che non esiste più; e siamo alle soglie di un nuovo ordine mondiale nel quale la Ue chiede a Trump e Putin “posso partecipare alle trattative?” e si sente rispondere “No, tu no!”.
E quale sarebbe l’ordine futuro?
Io sostengo da sempre che, nonostante la civilizzazione, l’umanità resta ancora quella di Caino e Abele, e a ricordarcelo ci stanno adesso pensando Trump e Putin, uniti da un idem sentire, con la loro logica del “minacciare rende”.
Possiamo chiamarla come vogliamo, ma alla fine è la dialettica della forza a farla da padrona, la stessa che Hitler impose a Monaco nel 1938, costringendo l’inglese Neville Chamberlain ed il francese Edouard Daladier a cedere vasti territori della Cecoslovacchia in cambio della pace. Come sia andata a finire lo si è poi visto.
E anche a non voler essere scaramantico, trovo che l’aver tenuto la Conferenza di venerdì in quella stessa città che vide Francia e Inghilterra calare le brache di fronte a Hitler abbia comunque un sapore evocativo.
In fondo, a voler essere onesti, i prodromi di quello che stiamo vivendo in questi giorni li troviamo tutti nel 2016, quando Trump divenne Presidente per la prima volta.
Allora diceva le stesse cose che dice ora, solo che non aveva ancora capito bene come metterle a terra, anche perché non aveva totalmente in mano il Partito Repubblicano come adesso.
Noi europei abbiamo preferito credere che il Tycoon fosse un accidente della storia, come tale irripetibile; purtroppo ci siamo sbagliati, ed eccoci qua a porci la fatale domanda “burro o cannoni?”.
E lo so bene che per le classi politiche europee non è facile parlare e porre ai propri concittadini questo dilemma, ma dovrebbero riflettere bene sulle dichiarazioni del Segretario della Difesa Usa Pete Hegseth, che ha detto chiaro e tondo che la “presenza americana in Europa non durerà per sempre”.
Perché per noi figli di un’ “Europa dei mercanti”, interessati più ai commerci che alle armi, intrisi di un pacifismo di maniera, abituati alla pace garantita dagli Usa, fruitori del 25% del welfare mondiale, si tratta di un risveglio brusco, ma questo è il mondo di questo primo scorcio del XXI secolo, e quanto prima ci abitueremo meglio sarà.
Molti affermano che Donald Trump potrebbe essere un bene per l’Europa, nel senso che la costringe a prendere coscienza dei problemi, della nuova geopolitica e, se ci riesce, a mettere in campo le dovute contromisure.
Non lo so se sarà così; perché ho il timore che questa Europa che io definisco sospesa fra “masturbazione” ed “onanismo”, che è ancora l’Europa degli Stati e degli Staterelli, che è ancora frenata dalla regola dell’unanimità (che attribuisce a Cipro lo stesso peso dalla Germania), farà fatica ad uscire dai nazionalismi delle “piccole patrie” che guardano alcune ad Est ed altre ad Ovest, pronte a genuflettersi di fronte al nuovo padrone di turno.
In altre parole ho la sensazione che non tutti siano consci che la sicurezza dell’Europa, presente e futura, rappresenta ormai un “bene pubblico”, condiviso, che impone a tutti scelte magari poco popolari ma non più rinviabili, anche per rendere il continente il più possibile Trump-proof.
Vedremo a breve se quanto reso noto circa l’abboccamento telefonico fra Trump e Putin sarà la base di possibili accordi, ma mi spiace constatare che i prodromi sono quelli di un Trump convinto di poter trasformare un disastro in un successo semplicemente chiamando pace quella che in realtà sarebbe una resa incondizionata.
E come lo chiamereste un esito del genere, ammesso che possa essere questo, se non un palese tradimento del popolo Ucraino (e dei suoi morti), dell’Europa, ed in generale degli ideali che stanno alla base delle democrazie occidentali?
In caso di una resa obbligata, sotto la minaccia di sospendere la fornitura delle armi, gli Ucraini sarebbero la vittima sacrificale, esattamente come lo furono i cecoslovacchi nel 1938.
E l’unica voce che si levò contro quel patto fu all’epoca quella di Churchill, che disse:”Potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra”.
Mai parole furono più profetiche.
E guardate che la situazione non è molto diversa da allora (anche se non è vero che Historia magistra vitae, almeno per chi non la studia), e gli unici che lo hanno capito bene sono i Paesi che hanno frontiere comuni con Santa Madre Russia.
Che sanno bene che la Russia attualmente investe in armamenti quanto tutti gli Stati della Ue messi assieme, e sanno altrettanto bene che le armi non si fanno solo per immagazzinarle, e prima o poi un motivo per usarle lo si trova sempre.
Perché, se è vero come è vero, che Trump è disposto a buttare a mare la ultra ottantennale alleanza istituzionalizzata con l’Europa per concentrarsi sull’area dell’Indo-Pacifico, considerata la nuova frontiera degli Usa, la minaccia russa ai nostri confini non verrebbe certo meno con la fine della guerra in Ucraina, anzi.
Il disimpegno americano nel vecchio Continente, la “bielorussizzazione” dell’Ucraina, consentirebbe a Putin di prendere fiato, riorganizzare le sue forze, per concentrare le sue attenzioni sulle Repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania), la Svezia, la Finlandia, la Polonia e la Romania.
Ecco perché il vecchio asse Parigi-Berlino in questa fase per me non ha più alcun senso.
Era buono in tempi più tranquilli, di equilibri consolidati, di logiche mercantilistiche; non in questa nuova fase in cui vengono messi in discussione la politica, la diplomazia, i valori culturali ed ideologici, le alleanze.
Ci vuole altro: nel senso cheGermania, Francia, Italia, Spagna, Olanda, Inghilterra (sì anche gli inglesi) decidano di voler contare veramente, non solo a parole, ma nel senso di dare veramente vita da una forza d’urto militare europea degna di questo nome, ma soprattutto in grado di mettere Putin sulla difensiva.
In quest’ottica a Monaco sembra essersi aperta una porta: nel senso che Ursula Von der Leyen ha dichiarato che la Commissione proporrà di attivare la clausola di salvaguardia per permettere agli Stati di investire in maniera più massiccia sulla difesa.
Quanto all’Italia, non sarà facile per nessun Governo porre ai cittadini il dilemma “burro o cannoni?”.
Perché in questo nostro Paese abituato agli artifici contabili, a bonus e superbonus, a condoni a go go, ad un welfare sempre più insostenibile, si troveranno sempre tanti “pacifisti” indisponibili a fare qualsiasi sacrificio per la sicurezza nazionale.
Credo sia evidente che non nutro grande stima del livello della nostra classe politica in generale, ma questi non sono tempi normali, e mi auguro che i nostri Demostene trovino il coraggio e l’onestà intellettuale di spiegare ai cittadini che “Miss Italia finisce qui” e che purtroppo per il bene comune, e per avere un po’ di sicurezza nei nostri confini, servono più cannoni e meno burro.
Perché la logica dei grandi della terra, Trump, Putin e Xi Jinping, in fondo è la stessa della famosa frase del 1945, durante i colloqui di Yalta fra i tre Grandi, Churchill, Roosevelt e Stalin; quando quest’ultimo a chi gli faceva presente che si dovevano tener conto anche delle esigenze di Pio XII sul futuro assetto europeo, chiese provocatoriamente: “Quante divisioni ha il Papa?”.
Umberto Baldo













