14 Maggio 2020 - 17.14

VENETO – Persi 55 mila posti di lavoro, Donazzan: “Basta chiusure indistinte” – I dati

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(In fondo all’articolo: il report con i dati)

Sono circa 80 mila i posti di lavoro persi in Veneto a causa della caduta occupazionale determinata dall’emergenza Covid-19. Secondo il monitoraggio dell’Osservatorio di Veneto Lavoro il trend negativo (coinvolge soprattutto il lavoro a termine: tra contratti a tempo determinato, apprendistato e lavoro intermittente, sono circa 60 mila i posti di lavoro persi tra il 23 febbraio e il 6 maggio 2020, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. A questi si aggiungono 7.800 contratti a tempo indeterminato in meno, soprattutto a causa del calo delle assunzioni, e il prevedibile crollo dei contratti di somministrazione, che in base ai dati parziali disponibili sono diminuiti di oltre 13 mila unità.

“La situazione economica è gravissima – afferma Elena Donazzan, assessore regionale al lavoro del Veneto – Se non riapriamo subito, con poche regole chiare, e con una vera semplificazione troppe volte solo annunciata, molte attività rischieranno una chiusura definitiva, ed il numero di posti di lavoro persi che conteggiamo oggi potrà solo aumentare. Se non verranno trovate immediate alternative a questa linea assistenzialista e burocratica proposta dal governo, mi aspetto un aumento delle crisi aziendali ed un impoverimento del tessuto sociale”.

Tra i lavoratori dipendenti, i posti di lavoro si sono contratti di 55 mila unità, per metà riferibili alle attività turistiche, settore che sconta soprattutto il mancato avvio delle assunzioni stagionali che solitamente avviene nel mese di aprile. In particolare difficoltà anche i settori del tessile-abbigliamento, il legno-mobilio, le produzioni in metallo, le attività professionali e l’editoria. Ma è l’intero tessuto produttivo a risultare in sofferenza, con un calo medio delle assunzioni superiore al 50%. Agricoltura, industria alimentare, sanità, servizi sociali e industria farmaceutica sono tra i pochi comparti che riescono a contenere la flessione delle assunzioni sotto al 30%.

A livello provinciale, i territori più colpiti sono proprio quelli maggiormente interessati dalle attività stagionali del turismo o dell’agricoltura: a Venezia sono andati persi finora quasi 20 mila posti di lavoro rispetto al 2019, con un calo delle assunzioni del 79%, a Verona oltre 15.000 posti persi (-54% le assunzioni). Nelle altre province il calo è meno rilevate: Padova ha perso 5.800 mila posti di lavoro, Treviso 4.000, Vicenza 3.500, Belluno 1.700 e Rovigo 1.500.

“Siamo stati i primi a chiudere in Europa e siamo ora gli ultimi a ripartire: la nostra economia è gravemente danneggiata non solo da Covid-19, ma anche dalle azioni poste in atto dal governo con scelte spesso profondamente sbagliate, a partire dalla gestione degli ammortizzatori – continua  Donazzan – Abbiamo finalmente convinto il governo a semplificare le procedure per la cassa integrazione, anche se insisto a dire che lo strumento era ed è sbagliato, incompatibile con una pandemia virale e con la scelta di chiudere tutte le attività con decreto”.

“Dobbiamo ora aiutare le imprese anche sul fronte della selezione dei lavoratori – conclude l’assessore – in Veneto abbiamo un sistema di servizi per il lavoro di grande qualità e abbiamo dato un grande impulso ai Centri per l’Impiego attraverso le politiche attive finanziate dalla Regione”. Le analisi sull’impatto dell’emergenza Covid-19 sul lavoro dipendente in Veneto sono disponibili sul sito di Veneto Lavoro alla pagina www.venetolavoro.it/misure

EMERGENZA COVID-19. L’IMPATTO SUL LAVORO DIPENDENTE IN VENETO
(23 FEBBRAIO – 6 MAGGIO 2020)

SINTESI MISURE/92 VENETO LAVORO – MAGGIO 2020

A partire dal 23 febbraio 2020 il Governo ha attivato una serie di provvedimenti di contrasto all’emergenza coronavirus che hanno inciso sulla libertà di spostamento dei singoli e sul mantenimento in funzione delle attività produttive e commerciali del Paese. Solo il 4 maggio sono state rimosse parte delle restrizioni imposte, in attesa di una più ampia riapertura, regolamentata, che coinvolgerà i settori del commercio al dettaglio e altri tuttora bloccati. L’evolversi dell’emergenza epidemiologica ha tuttavia già determinato significative ripercussioni sulle dinamiche dell’occupazione.

Secondo il monitoraggio avviato da Veneto Lavoro, tra il 23 febbraio e il 6 maggio sono andati persi circa 55 mila posti di lavoro dipendente rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, tra mancate assunzioni ed effettiva diminuzione delle posizioni lavorative, per una media di circa 6.000 posti in meno ogni settimana e un calo corrispondente al 3% dell’occupazione dipendente totale. L’emergenza sanitaria ha dunque vanificato in un brevissimo lasso di tempo buona parte dell’incremento occupazionale che era stato realizzato nella lunga fase di recupero iniziata nel 2014, dando avvio ad un trend negativo che solo a maggio sembra aver iniziato a rallentare la sua corsa.

Nella dinamica negativa post 22 febbraio risultano coinvolte tutte le tipologie contrattuali dipendenti: la differenza con il saldo del corrispondente periodo del 2019 è pari a -7.800 per i contratti a tempo indeterminato, -5.000 per l’apprendistato, -44.200 per i contratti a termine (che includono anche i rapporti di lavoro stagionali per i quali le assunzioni sono diminuite del 68%).

A livello territoriale, il costo più alto lo hanno pagato le province maggiormente interessate da attività stagionali legate al turismo o all’agricoltura: Venezia perde quasi 20 mila posizioni lavorative rispetto al 2019, con un calo delle assunzioni del 79%, Verona oltre 15.000 (-54% le assunzioni). Nelle altre province il calo è molto meno rilevate, con Padova che perde 5.800 mila posti di lavoro, Treviso 4.000, Vicenza 3.500, Belluno 1.700 e Rovigo 1.500.

È proprio il comparto delle attività turistiche il più esposto agli effetti della pandemia e, da solo, spiega quasi la metà della contrazione occupazionale. Per effetto della crisi Covid-19 sono infatti circa 28 mila i posti di lavoro persi nel settore, soprattutto a causa del mancato avvio delle assunzioni stagionali che solitamente avviene nel mese di aprile. In particolare difficoltà anche il tessile-abbigliamento,  legno-mobilio, produzioni in metallo, attività professionali ed editoria. Ma è l’intero tessuto produttivo a risultare in sofferenza, con un calo medio delle assunzioni superiore al 50%.

Agricoltura, industria alimentare, sanità-servizi sociali e industria farmaceutica sono tra i pochi comparti che riescono a contenere la flessione delle assunzioni tra il -20% e -30%. Il settore agricolo, insieme ai servizi informatici, è anche l’unico che mostra un saldo positivo nel periodo 23 febbraio – 6 maggio 2020 (+3.800).

Tra le altre forme contrattuali, variazioni negative si registrano per il lavoro intermittente (-11.000 posizioni lavorative rispetto al 2019), le collaborazioni (-690) e i tirocini (-3.800). I dati dei primi tre mesi dell’anno confermano inoltre un dimezzamento delle assunzioni con contratto di lavoro somministrato (-44%). Positiva invece la dinamica relativa al lavoro domestico (+1.800 posizioni lavorative tra il 23 febbraio e il 6 maggio), per il quale si può ipotizzare che la necessità di documentare e giustificare gli spostamenti, così come la possibilità di accedere al voucher alternativo al congedo parentale, abbiano portato all’emersione di rapporti di lavoro finora svolti in modo irregolare. La crescita dei contratti di lavoro domestico è stata particolarmente evidente nelle prime settimane di lockdown per poi affievolirsi nell’arco dell’ultimo mese. 

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