Utilizzo dei beni russi congelati: perché i 27 non sono riusciti a raggiungere un accordo? Quanto pesano i filo-russi?

Vertice UE, stop all’uso dei capitali russi congelati: aiuti a Kiev finanziati con prestiti comuni
I leader europei, riuniti a Bruxelles, non hanno raggiunto un accordo sull’utilizzo dei beni russi congelati in Europa per sostenere l’Ucraina. La proposta di impiegare direttamente i capitali — e non solo gli interessi maturati — non ha ottenuto il via libera del Consiglio europeo. La decisione è stata salutata da alcuni come una vittoria del “buon senso”.
Di conseguenza, il nuovo pacchetto di aiuti da 90 miliardi di euro destinato a Kiev per il biennio 2026-2027, strutturato come prestito a tasso zero, sarà finanziato attraverso prestiti congiunti tra gli Stati membri aderenti.
Finora, gli alleati dell’Ucraina hanno utilizzato esclusivamente gli interessi generati dai beni russi congelati nel 2022. Nell’ottobre 2024, grazie a un accordo tra i leader del G7, l’Unione europea aveva già concesso a Kiev un prestito da 45 miliardi di euro basato su tali interessi. La scorsa settimana, l’UE aveva compiuto un ulteriore passo decidendo il congelamento a tempo indeterminato dei beni sovrani russi presenti sul proprio territorio. La Commissione europea, sostenuta da diversi Paesi tra cui la Germania, ha tentato di rafforzare l’aiuto all’Ucraina proponendo per la prima volta l’uso dei capitali di questi beni, ma l’iniziativa non ha trovato consenso.
Il nodo Belgio e le garanzie richieste
La principale resistenza è arrivata dal Belgio, dove è concentrata la maggior parte dei beni russi congelati, pari a circa 210 miliardi di euro, custoditi presso la società finanziaria Euroclear con sede a Bruxelles. Già a ottobre, il primo ministro belga Bart De Wever aveva chiesto ai partner europei garanzie praticamente illimitate per tutelare il Paese dal rischio di richieste di rimborso anticipato o da ritorsioni russe nel caso di utilizzo dei fondi.
«Abbiamo bisogno di un paracadute prima di lanciarci. Se ci chiedono di lanciarci, ci lanciamo tutti insieme», aveva dichiarato De Wever. Nonostante la disponibilità di altri Stati a dimostrare solidarietà, è mancata la volontà di concedere al Belgio una “carta bianca”, come riferito da un negoziatore europeo all’AFP. Al termine del vertice, lo stesso De Wever ha commentato: «Il dado è tratto, tutti sono sollevati».
Il no di Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca
Un netto rifiuto all’uso dei beni russi è arrivato anche dall’Ungheria di Viktor Orbán, che accusa l’Unione europea di adottare una linea belligerante. «L’Europa vuole continuare la guerra e persino estenderla, proseguendola sul fronte russo-ucraino e allargando il conflitto all’economia, confiscando i beni russi congelati», ha dichiarato il premier ungherese.
Insieme all’Ungheria, anche Slovacchia e Repubblica Ceca, riluttanti a fornire sostegno finanziario all’Ucraina, sono state esentate dalla partecipazione al nuovo prestito congiunto da 90 miliardi di euro approvato venerdì 19 dicembre, che coinvolgerà 24 Stati membri. Il presidente slovacco Robert Fico, alleato di Orbán, si è tuttavia detto disponibile a sostenere finanziariamente la ricostruzione dell’Ucraina. Di segno opposto la posizione del primo ministro ceco Andrej Babiš, tornato al potere a inizio dicembre: «Non contribuiremo finanziariamente agli aiuti. Non possiamo fornire denaro dal bilancio ceco né garanzie».
Dubbi giuridici e timori reputazionali
Pur senza opporsi in modo frontale, altri Paesi hanno espresso riserve sulla legittimità dell’operazione. Italia, Bulgaria e Malta hanno sottoscritto una dichiarazione indirizzata alla Commissione europea, chiedendo di valutare “soluzioni alternative” con “parametri prevedibili” e “rischi significativamente inferiori” rispetto all’utilizzo dei beni russi. Il prestito a tasso zero da 90 miliardi di euro approvato venerdì risponde in particolare alle preoccupazioni espresse dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, legate ai rischi reputazionali, alle possibili ritorsioni e ai potenziali oneri aggiuntivi per i bilanci nazionali.
Secondo Charlotte Beaucillon, specialista di diritto internazionale, l’impiego dei beni russi come garanzia per un prestito all’Ucraina costituirebbe un “meccanismo senza precedenti”, con il rischio di aprire la strada ad abusi futuri. «La sottigliezza del sistema è che i beni russi non verrebbero confiscati, ma utilizzati come garanzia per consentire all’UE di prestare denaro a Kiev», spiega l’esperta. In un simile scenario, aggiunge, l’Unione dovrebbe essere «assolutamente chiara» sul fondamento giuridico internazionale della proposta e sul carattere «del tutto eccezionale» della situazione.













