24 Ottobre 2025 - 9.45

Ucraina, la pace giusta, ossimoro perfetto

Umberto Baldo

Durante la mia passeggiata mattutina di ieri, con gli airpods nelle orecchie, mi sono imbattuto in un giornale radio. 

Si parlava — tanto per cambiare — della guerra in Ucraina e delle sempre più evanescenti speranze di pace.

Ad un certo punto il cronista, con voce grave e compassata, ha pronunciato la formula magica: “pace giusta”.
Mi è quasi scappato un sorriso. 

Perché “pace giusta” è, senza troppi giri di parole, un ossimoro perfetto.

Magari qualcuno si è un po’ arrugginito, quindi un rapido ripasso: l’ossimoro è quella figura retorica che accosta due parole in aperto contrasto.
Esempi classici?    Oscura chiarezza, silenzio assordante, lucida follia, illustre sconosciuto, disgustoso piacere.
Ecco, ditemi voi se “pace giusta” non suona esattamente come una di queste.

La storia, del resto, ci racconta che la guerra è sempre stata, ahinoi, il modo con cui i popoli regolavano i conti. 

Prima le tribù, poi gli Stati, poi le Potenze “civili”.
Persino i Sovrani più devoti, quelli con il confessore fisso a corte, si sono sempre inventati dottrine per giustificare le guerre “giuste”, per di più con i soldati benedetti sempre dal clero. 

Una specie di indulgenza plenaria per Re e Generali, utile a dormire tranquilli la notte dopo aver mandato migliaia di uomini al massacro.

Fino a metà del Novecento, nessuno avrebbe mai pensato che la guerra fosse “ingiusta” in sé. 

Era un fatto della vita, come le tasse o la peste.
Solo dopo la Seconda guerra mondiale, e dopo cinquanta milioni di morti, si è potuto scrivere nella nostra Costituzione che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali….….”.
Ma, si badi bene, questa formula non la esclude del tutto: se ci attaccano, le armi si riprendono eccome.

Da quel momento è nato anche l’altro concetto, quello speculare: la “pace giusta”.
Ma di nuovo, parliamoci chiaro: quando mai una guerra è finita con una pace “giusta”?
Ogni conflitto, da che mondo è mondo, si chiude con un vincitore ed un vinto. 

Uno detta le condizioni, l’altro le subisce.
Tacito, con il suo sarcasmo romano, lo aveva già capito duemila anni fa: “Desertum fecerunt et pacem appellaverunt” — “Hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace”.

Ma andate pure a ripercorrere tutta la storia dell’umanità, e credetemi che non troverete mai il vincitore di una guerra disposto a fare il magnanimo con i vinti.

E non illudiamoci che oggi vada diversamente.
Anzi, spesso sono proprio le “paci” a gettare i semi della guerra successiva.
Il Trattato di Versailles, tanto per citare il più celebre, umiliò la Germania al punto tale da spianare la strada ad Hitler ed al nazismo, e di fatto al secondo conflitto planetario.

Una “pace giusta”, sì, ma per chi?

A questo punto qualcuno penserà che mi sto perdendo nei libri di storia.
Portate pazienza: tutto ciò mi serve per arrivare al presente.
Davvero pensiamo che la guerra in Ucraina possa concludersi con una “pace giusta”?

Ad essere onesto io constato che quando la UE non condivide l’approccio di Trump ai negoziati con Putin, il ritornello è sempre quello: “Putin non vuole la pace”, con l’aggiunta che “spetta all’Ucraina decidere, purché si tratti di una pace giusta”.
Quando invece, per necessità o convenienza, l’Unione Europea si mostra d’accordo con Washington, perché si rende conto che da sola non è in grado di sostenere Kiev fino in fondo, il ritornello non cambia: sì alla pace, ma solo se “giusta”.

L’impressione è che la retorica della “pace giusta” serva a noi europei a giustificare la guerra, e mantenere unito il fronte Nato.

Sembra quasi che questa “pace giusta” serva più a noi, per sentirci dalla parte dei buoni, che a chi sta morendo sul campo.
Tradotto: per Bruxelles la pace sarà “giusta” solo se Putin farà l’autodafé e Kiev riconquisterà tutti i territori perduti. 

Usando un’espressione latina si direbbe ripristino dello “status quo ante bellum”.

Peccato che Trump la pensi diversamente, e non certo per amore dell’Ucraina, e che Putin non abbia la benché minima intenzione di restituire né la Crimea né il Donbass.

E allora, tornando all’ossimoro, la “pace giusta” semplicemente non esiste.
Esiste, semmai, la “pace possibile”, quella che arriva quando entrambe le parti capiscono che continuare costa più che fermarsi.
Le guerre finiscono così, non con le fanfare, ma con compromessi imperfetti.
Come in Corea nel 1953, dove si firmò un armistizio che dura tutt’oggi, 

ma non una pace.
Come in Vietnam nel 1973, con il ritiro americano e la promessa — mai mantenuta — di un nuovo equilibrio.
E, scommettiamoci, così finirà anche in Ucraina.

Dopo tre anni di distruzioni, centinaia di migliaia di morti ed un odio ormai incancrenito, parlare di “pace giusta” è per me quasi offensivo.
A mio avviso la sola pace possibile — e dico possibile, non giusta — sarebbe un compromesso:  Ucraina pienamente indipendente, magari nell’Unione Europea; Russia che mantiene i territori russofoni, ma solo se confermati da referendum sotto stretto controllo internazionale; ed una forza di interposizione sotto garanzia Usa-Ue.

Sarebbe giusto? No. Sarebbe reale? Forse.
Ma la politica, piaccia o no, resta l’arte del possibile, non del perfetto.
Anche se a noi europei piace ancora credere agli ossimori.

Umberto Baldo

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