Toscana, vittoria col mal di pancia: Pd diviso, 5 Stelle in rivolta

Le elezioni regionali toscane si sono concluse in linea con le previsioni, ma il terremoto politico che hanno generato non era affatto scontato.
Tra la Lega che si lecca le ferite ed il Movimento 5 Stelle che evapora nelle urne, la scossa si è sentita forte, sia a destra che a sinistra.
E se di solito le liti esplodono tra chi perde, stavolta a battere i pugni sul tavolo sono anche quelli che hanno vinto.
Della crisi leghista e della sua deriva “vannacciana” ne ho già parlato ieri; oggi tocca guardare dentro l’altra metà del cielo politico, dove la vittoria in Toscana ha lasciato più lividi che entusiasmi.
Perché il cosiddetto “campo largo” continua ad assomigliare più a un campo minato: un mosaico fragile dove il Pd di Elly Schlein prova a fare da collante tra Avs, 5Stelle, Italia Viva, +Europa e, quando non si offende, pure Azione. Un’impresa che ogni giorno somiglia più ad un esercizio di equilibrismo che ad una linea politica.
Eppure il Pd ha vinto, e pure bene, risultando il primo partito nel Granducato.
Ma la vittoria non ha portato aria nuova: dentro il Partito restano le solite tensioni.
La componente riformista, che c’è ed è viva, continua a lamentare un Pd «troppo spostato a sinistra» e «schiacciato sui 5 Stelle».
Il segnale arriva chiarissimo da Firenze: nel capoluogo, la lista Dem si è fermata al 27,6%, molto sotto la media regionale, mentre “Casa riformista” – il cartello renziano dei moderati e della lista Giani – ha toccato il 15,25%.
La sindaca di Firenze, Sara Funaro, lo dice senza fronzoli: «Il risultato di Firenze ci porta ad avviare una riflessione approfondita».
Certo, c’è l’effetto Renzi, fiorentino doc, ma il problema resta: il Pd radicale non convince i moderati.
E per i riformisti è chiaro che la segreteria Schlein abbia ormai delegato ad altre forze politiche il compito di raccogliere il voto centrista.
A ribadirlo, con la consueta schiettezza, è Pina Picierno: «I risultati deludenti di Lega e M5S in Toscana e altrove dimostrano l’inconsistenza della deriva bipopulista. Sono due minoranze sempre più irrilevanti. Se la destra ne è prigioniera, il campo progressista ha ancora tempo per rimettersi in carreggiata e tornare a fare politica estera e confronto democratico seriamente».
Come potete vedere, gira e rigira, il tema resta quello: il “Campo largo” senza un’anima riformista rischia di implodere.
Ne è convinto anche Giuseppe Sala, sindaco di Milano, che non le manda a dire: «In tempi di estremismi serve una proposta moderata e riformista. Puntiamo al 10% a livello nazionale. Davvero è impossibile per una forza laica e cattolico-democratica farcela? Io non credo». E rilancia: “serve una costituente dei moderati e dei riformisti, una Convenzione repubblicana”.
Non stupisce quindi che i riformisti del Pd si stiano muovendo in proprio.
Hanno già fissato per il 24 ottobre a Milano un incontro pubblico aperto, con un titolo che dice tutto: “Crescita economica, welfare, formazione, per un’Italia più competitiva e giusta, più libera e sicura, più responsabile ed europea”.
Insomma, mentre la Schlein canta vittoria, i suoi compagni di partito le organizzano una convention alle spalle.
E se questo è il clima tra i vincitori, figuratevi tra gli sconfitti.
Nel Movimento 5 Stelle, infatti, è scoppiata la tempesta perfetta.
A scatenarla è stata la Vice segretaria Chiara Appendino, ex sindaca di Torino, che durante l’assemblea dei parlamentari, riunitasi martedì sera per discutere la disfatta toscana, ha minacciato le dimissioni.
Una bomba. E la miccia, a quanto pare, è stato il solito clima autoassolutorio, quello del “non è colpa nostra”.
Ma i numeri parlano chiaro: 4,4%. Meno del 7% del 2020, e lontanissimo dal 15% del 2015, quando almeno i 5Stelle correvano da soli.
Stavolta, invece, si sono imbarcati obtorto collo nella coalizione con Pd e centristi, e l’elettorato li ha puniti.
Pochi iscritti avevano approvato l’intesa con Giani, e ancor meno si sono presentati alle urne.
In molte zone, i voti sono evaporati verso l’astensione, o si sono spostati sulla candidata di Potere al Popolo, Antonella Bundu.
La verità è che il “Campo largo” ha spaccato i 5 Stelle fin dalle fondamenta.
A Livorno due consiglieri comunali si sono dimessi, e Conte ha dovuto chiudere la campagna elettorale in solitaria.
Risultato fino ad ora: 5% nelle Marche, 6,4% in Calabria, dove pure il candidato era il pentastellato Pasquale Tridico, e ora la Toscana al 4,4%,
La Appendino ora chiede una riflessione vera.
Sul piano interno, ridefinire le priorità e recuperare i temi identitari che hanno reso il Movimento riconoscibile.
Sul piano esterno, rivedere il patto con il Pd, che ormai sembra una zavorra.
Tradotto dal politichese: basta appiattirsi.
Invece di farsi inglobare dal sistema, bisogna tornare allo spirito originario, quello dei tempi di Grillo, quelli del “Vaffa!”, quando i 5 Stelle intercettavano la rabbia sociale.
La Appendino lo dice chiaro: la linea attuale sta logorando il Movimento e ne corrode la credibilità, senza portare alcun risultato tangibile.
Si perde coerenza e si guadagna solo irrilevanza.
E la minaccia di dimissioni è un segnale politico pesante.
Per lei – e non solo per lei – la convivenza col Pd non piace ai potenziali elettori grillini.
Per sopravvivere, il M5S deve quindi tornare a essere “progressista indipendente”, come stabilito già dall’assemblea costituente dell’anno scorso.
Si può restare alleati, certo, ma con un’altra postura: un’identità più netta, capace di rappresentare il disagio sociale e di ripescare i delusi dell’astensionismo.
Un messaggio che dovrebbe suonare come un campanello d’allarme non solo per Conte, che rischia la leadership, ma anche per Elly Schlein, la pasionaria del “Campo largo”, che ora deve fare i conti con un alleato sempre più inquieto, ed una base sempre più divisa.
Anche qui, inutile dirlo: ci sarà da divertirsi.
Umberto Baldo
PS: per me l’Appendino forse avrebbe dovuto rimandare le sue esternazioni anti campo largo a dopo le elezioni in Campania, perché il successo di Roberto Fico (nel 2020 il M5S da solo prese il 9,9%), è inevitabilmente subordinato ai voti del Pd, e soprattutto agli umori di Vicenzo De Luca.
Qualcuno dovrebbe ricordarle che non si può “avere la botte piena e la moglie ubriaca”.
Osservo infine che il problema sia del M5Stelle che della Lega è quello che “pescano” nello stesso elettorato di Pd e FdI. E da che mondo è mondo l’elettore fra l’ “originale” e la “fotocopia” sceglie sempre l’originale.













