6 Ottobre 2025 - 16.42

Stasera guardo… Black Rabbit: Jude Law e Jason Bateman fratelli nel baratro del crimine – Su Netflix: la recensione

È arrivata su Netflix anche in Italia Black Rabbit, la nuova miniserie con Jude Law e Jason Bateman, che li vede nei panni di due fratelli uniti dal sangue ma divisi da errori, segreti e rancori. Otto episodi intensi e cupi raccontano una storia di famiglia, ambizione e autodistruzione ambientata nella New York notturna, tra locali di tendenza e ombre criminali.


Due fratelli, un locale e un passato che non muore

Jake e Vince Friedken sono cresciuti a Coney Island, in una casa segnata dalla violenza e da un padre alcolizzato. Da giovani hanno provato a riscattarsi con la musica, formando una band che sembrava promettere bene: Jake, bello e carismatico, era il frontman; Vince, impulsivo e creativo, il batterista e la mente artistica. Ma la dipendenza di Vince dalle droghe e dal caos distrugge tutto.

Anni dopo, Jake riesce a reinventarsi come manager di artisti e imprenditore. Insieme al fratello, tornato apparentemente sobrio, apre il Black Rabbit, un locale esclusivo che diventa il cuore pulsante della vita notturna di Manhattan. È il simbolo del loro riscatto, un luogo che mescola glamour, arte e musica.

Ma il sogno dura poco. Quando la serie inizia, una rapina nel locale segna un punto di non ritorno: una pistola puntata alla testa di Jake e un salto indietro di un mese che rivela l’origine del disastro. Vince, in fuga da debiti e nemici a Reno, commette un omicidio accidentale e chiede aiuto al fratello. Jake, nonostante tutto, lo riaccoglie. Da quel momento, la spirale di errori, ricatti e violenza si fa inarrestabile.


Tra noir e dramma familiare

Black Rabbit mescola abilmente thriller, noir e dramma psicologico. Il rapporto tra i due fratelli è il cuore della storia: Vince è un uomo alla deriva, incapace di imparare dai propri sbagli; Jake è il salvatore instancabile, condannato a proteggerlo anche a costo della propria rovina.

Accanto a loro si muove una galleria di personaggi secondari – colleghi, amanti, soci, gangster – che ampliano il quadro ma spesso restano sullo sfondo. La serie esplora il prezzo della lealtà familiare e la sottile linea tra amore e dipendenza, mostrando come anche i legami più forti possano diventare tossici.

L’atmosfera è oppressiva, cupa, volutamente senza respiro: la fotografia gioca con luci basse e toni metallici, restituendo una New York nervosa e decadente, dove nessuno sembra davvero salvarsi. La regia di Bateman, che dirige alcuni episodi, punta su tensione e realismo sporco, mentre Law dà al suo Jake un’intensità trattenuta, quasi soffocata.


I limiti di una serie ambiziosa

Nonostante l’alto livello produttivo e le interpretazioni convincenti, Black Rabbit non riesce sempre a trovare un equilibrio. La narrazione procede con lentezza, intrecciando troppe sottotrame che finiscono per diluire la forza emotiva della storia principale.
In più, è difficile provare empatia per i protagonisti: Vince è talmente autodistruttivo da risultare irritante, e Jake, pur più lucido, resta un personaggio enigmatico, prigioniero del senso di colpa.

Il risultato è una serie che affascina ma non coinvolge del tutto, capace di suggestioni forti ma povera di calore umano.


Giudizio finale

Black Rabbit è una serie elegante ma spietata, un viaggio nella colpa e nella fratellanza distrutta, sostenuto da due interpreti di altissimo livello. Non è una visione facile: è lenta, buia e spesso dolorosa. Ma per chi ama i dramma criminali psicologici, con atmosfere alla Ozark o The Bear, rappresenta una delle proposte più interessanti dell’autunno.

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