Roma ladrona? Ma no, addio Milano la finanza trasloca

Sul risiko bancario che ci ha accompagnato negli ultimi mesi, tra un colpo di scena e l’altro, credo si sia detto tutto: indiscrezioni, smentite, manovre di corridoio, retroscena veri e presunti.
Tutto in attesa dello “showdown” finale, dell’operazione delle operazioni; la conquista delle Assicurazioni Generali.
Non a caso parlo delle Generali, perché Mediobanca non è che il cavallo di Troia per arrivare a Trieste, il vero tesoro della finanza italiana, uno dei pochissimi gruppi italiani con un autentico profilo internazionale, e con in pancia una montagna di titoli di Stato.
E’ inutile ripercorrere punto per punto le mosse delle ultime settimane.
Ma c’è un dato che non si può ignorare.
In questa battaglia, chi gioca la parte del grande regista?
Sicuramente il Governo!
Che non solo dirige la partita, ma entra in campo, fischia e segna pure il rigore.
Golden power usata a piacimento (con Bruxelles che prende appunti indignati), cessioni di quote Mef finite sotto inchiesta a Milano, e soprattutto un tifo spudorato per Caltagirone & co.
Altro che libero mercato: qui siamo a metà fra il Risiko ed una tombola di Natale pilotata dal banditore.
In due parole Esecutivo non più arbitro, ma giocatore, non più regolatore, ma protagonista della partita.
Lo schema è chiaro: Mps, storicamente la banca “più rossa d’Italia”, oggi diventa la clava con cui un Governo di destra vuole sfasciare la cassaforte laica della finanza milanese.
Dalla Siena del Monte dei Paschi alla Roma di Caltagirone, passando per Piazzetta Cuccia, e arrivando alle Generali di Trieste.
Un giro d’Italia finanziario degno del Giro ciclistico: solo che qui non vince chi pedala, ma chi conosce i corridoi di Palazzo Chigi.
Ma c’è a mio avviso anche una questione simbolica e territoriale, che non va sottovalutata.
Mps, diventata ora banca “romana per adozione”, storicamente più vicina al potere politico che al capitalismo industriale, diventa il “Cavallo di Troia” per conquistare il cuore della finanza milanese.
Piazzetta Cuccia, simbolo di riservatezza meneghina, cadrebbe così nelle mani della Capitale, con la famiglia Caltagirone in prima fila ed il Governo schierato al suo fianco.
Roma scalzerebbe Milano, ed il baricentro del potere finanziario italiano si sposterebbe di qualche centinaio di chilometri lungo l’Autostrada del Sole.
La storia, a ben guardare, non è nuova.
È l’eterna contrapposizione tra Milano e Roma.
La prima, fin dall’età dei Lumi, simbolo di “modernità”: la città del progresso legato alle competenze, della coesione civica, dell’avversione verso i poteri anonimi e improduttivi delle burocrazie statali.
Roma, invece, immagine speculare: la città della “tradizione”, dei palazzi della politica, dei rituali bizantini, del potere opaco e delle istituzioni onnipotenti.
Non è semplicemente un conflitto tra modernità e tradizione, ma tra due diverse “tradizioni”: quella comunale e municipale da un lato, quella centralista e universalista dall’altro.
E le loro ombre si allungano ancora oggi sulle scelte finanziarie del Paese.
Per questo la partita Mediobanca-Generali non è soltanto un affare di finanza.
È il simbolo di una nuova “romanizzazione” del potere economico italiano.
E non è detto che il Nord la prenda bene.
C’è poi l’elemento politico che rende la vicenda ancora più interessante. L’opposizione, va detto, non ha toccato palla: silenzio totale, come se il tema non fosse “popolare”.
Eppure la memoria corre inevitabilmente a quel “Abbiamo una banca?” che Piero Fassino, nel 2005, confidava a Giovanni Consorte. Quella frase resta come un fantasma che aleggia ogni volta che la politica mette le mani sulle banche.
E la maggioranza?
Forza Italia qualche incertezza l’ha mostrata, con Tajani a fare da portavoce di un malessere che a Milano non è certo marginale.
Ma Fratelli d’Italia, che dalle parti di Piazzetta Cuccia non aveva mai messo piede, ha scelto di appoggiare la mossa di Giorgetti.
In fondo, quale occasione migliore per legittimarsi anche in quel salotto buono che per decenni aveva guardato con diffidenza la politica?
Il paradosso è che lo strumento di questa grande operazione sia proprio il Monte dei Paschi di Siena.
La banca simbolo dell’egemonia della sinistra diventa ora la leva con cui un Governo di destra punta a scardinare il fortino finanziario laico, Mediobanca.
E nel farlo, prova a costruire quel “terzo polo del credito” che da tempo viene evocato come interesse strategico nazionale.
Non ho conoscenze dirette nell’ambiente, ma non dubito che la mossa venga vissuta a Milano come logica di conquista, e non di discreta penetrazione nel capitalismo meneghino che conta. Però osservo che molti grandi Gruppi non hanno supportato l’Ad di Mediobanca Alberto Nagel nella sua mossa disperata di salvare il salvabile lanciando l’operazione su Banca Generali, e hanno preferito defilarsi. Evidentemente ha prevalso la logica del disimpegno, per non disturbare il manovratore che sta a Palazzo Chigi, e di conseguenza non mettersi contro chi oggi comanda in Italia, e sembra muoversi contro la logica che suggerisce da sempre che “La politica non deve dirigere le realtà private”.
Resta una domanda aperta.
Umberto Bossi, quello della Lega Lombarda, dalla “Padania”, della “Roma ladrona”, avrebbe mai accettato che la Milano “nordista” cedesse il passo a Roma nella guida della finanza italiana?
La Lega di Salvini sembra non aver avuto dubbi: ha scelto Caltagirone e Dolfin, favorendone apertamente le ambizioni.
Ma per chi ricorda la Lega delle origini, quella scelta pesa come un tradimento.
Un amico leghista della prima ora me l’ha detto chiaro: “Salvini è ormai un romano, altro che padano”.
E quel “romano”, detto con lo stesso tono con cui un tempo si pronunciava “terrone” nei bar del varesotto, racconta tutta la parabola: la Finanza non è più di Milano, la Lega non è più quella di Bossi, e Roma, tra politica, banche e assicurazioni, ha fatto cappotto.
Insomma, più che risiko, sembra la solita sceneggiata nazionale.
Con una differenza: stavolta a piangere non sarà solo il Nord, ma l’idea stessa che l’Italia potesse avere una finanza indipendente dalla politica.
Umberto Baldo













