15 Dicembre 2025 - 9.40

Regione Veneto – Gino Gerosa. Dalla sala operatoria alla Giunta regionale. Perché a 68 anni si dice ancora sì

Umberto Baldo

Diciamo la verità: quando sabato sono stati resi noti i nomi dei nuovi assessori della Giunta regionale del Veneto, i media hanno concentrato quasi tutta la loro attenzione su un nome in particolare, quello del nuovo responsabile della Sanità Gino Gerosa.

Una scelta comprensibile.

Senza nulla togliere agli altri componenti della Giunta – molti dei quali, va detto, non sono noti neppure alla maggioranza dei veneti – quello del Professore è l’unico profilo di levatura autenticamente nazionale e internazionale.

Leggendo la notizia, mi sono posto una domanda tanto semplice quanto inevitabile: che cosa spinge un personaggio come Gino Gerosa ad accettare la guida della complessa macchina politico–sanitaria del Veneto?

Sia chiaro: le mie sono soltanto supposizioni, ipotesi, sensazioni. 

Magari c’entrano come i cavoli a merenda e forse strapperebbero un sorriso al neo assessore. 

Ma vale comunque la pena provare a ragionarci.

Da persona che ha qualche anno più di lui, oserei dire che Gerosa è arrivato in quella fase della vita in cui, volenti o nolenti, si è portati a fare dei bilanci, per valutare cosa si è riusciti a fare, in rapporto a quello che ragionevolmente si potrà ancora realizzare nell’immediato futuro.  

Per uno del suo calibro la pensione non è certo un obiettivo, come lo è per noi comuni mortali. 

E per certi versi è anche giusto così, perché appendere le scarpe al chiodo significherebbe privare la società di un patrimonio enorme di conoscenze, competenze ed esperienza.

Mi astengo volutamente dal ripercorrere i suoi meriti professionali ed accademici: basta consultare il curriculum per rendersi conto che la sua carriera è costellata di primati che hanno contribuito a riscrivere la cardiochirurgia moderna. 

È vero, la scienza ed il progresso medico non si fermano mai, ma è difficile non pensare che il Professore possa guardare con legittima soddisfazione a quanto ha costruito in una vita divisa tra accademia e sala operatoria.

E allora, l’unica risposta che mi viene spontanea è questa: nella vita arriva sempre un momento in cui un uomo sente il bisogno di misurarsi con nuove sfide. 

Così, a 68 anni, Gino Gerosa potrebbe aver deciso di confrontarsi con problemi che travalicano i confini di un reparto ospedaliero o di un singolo nosocomio, rispondendo con un sì alla chiamata del neo Presidente del Veneto, Alberto Stefani.

Una scelta che, c’è da scommetterci, deve essere stata a lungo meditata. 

Anche perché una cosa va ribadita con chiarezza: Gerosa è un medico che ha costruito la propria carriera non nei salotti del potere o nelle anticamere dei ministeri, ma nelle sale operatorie, nei laboratori di ricerca, nella formazione di generazioni di giovani specialisti.

La sua nomina riporta inevitabilmente alla luce una vecchia diatriba che attraversa da sempre il mondo politico: è meglio affidarsi ai tecnici o ai politici? 

Due categorie che il dibattito pubblico ama contrapporre in modo schematico.

La politica “professionale” tende a sostenere che, nell’affrontare i problemi, conti più la percezione delle risposte che l’opinione pubblica si aspetta e la valutazione dei costi di fattibilità, piuttosto che una conoscenza diretta e approfondita delle materie.

Detta brutalmente: per governare “varrebbe più la pratica che la grammatica”. 

A questa tesi si potrebbe però ribattere che l’ignoranza – od una conoscenza superficiale – difficilmente rappresenta la condizione ideale per prendere decisioni che incidono sulla vita di milioni di persone.

Ma tant’è. 

Cosa ci si può aspettare da personaggi che sono diventati Assessori o Ministri senza aver mai lavorato un solo giorno fuori dalla politica, e la cui unica “professionalità riconosciuta” consiste nel saper gestire la propria rielezione?

La storia, va detto, non scioglie definitivamente questo nodo. 

Abbiamo avuto ottimi ministri della Sanità senza laurea in Medicina, così come ministri della Difesa che non avevano mai visto una caserma, ed indossato una divisa. 

E, al contrario, non sono mancati ministri dell’Economia con una formazione specialistica, che non hanno certo lasciato risultati memorabili.

Personalmente non credo esista una risposta univoca a questo dilemma. 

Viviamo in società talmente complesse da richiedere il giusto equilibrio tra le ragioni della politica e quelle della tecnica e della scienza. 

Ma soprattutto è indispensabile che queste due dimensioni riescano a interagire in modo virtuoso, se si vuole governare una transizione storica carica di incognite come quella che stiamo attraversando.

È anche per questo che trovo interessante e lungimirante la scelta di Stefani di voler fortemente Gino Gerosa alla guida della sanità veneta. 

Potrebbe segnare un passaggio netto verso un sistema sanitario guidato non solo dalla politica, ma anche dalla competenza scientifica e dall’esperienza maturata nei luoghi di cura.

Il profilo del nuovo assessore rende credibile questa scommessa: conoscenza profonda del sistema ospedaliero, visione strategica, autorevolezza riconosciuta dal mondo medico ed accedemico. 

In un momento segnato da gravi carenze di personale, dalla difficile riorganizzazione della medicina territoriale e dalla necessità di innovare senza compromettere la sostenibilità, la sanità veneta sembra volersi affidare ad una figura capace di unire decisione e competenza. 

La traiettoria di Gerosa racconta, in fondo, una visione chiara: una sanità che non si limita a gestire l’emergenza, ma prova ad anticipare il futuro, investendo su ricerca, qualità e responsabilità.

Dalle prime interviste, in video e sulla carta stampata, a mio avviso emerge l’immagine di un uomo perfettamente consapevole del “macigno” che gli è stato caricato sulle spalle, ma allo stesso tempo disposto a mettersi in gioco in prima persona per imprimere una svolta ad una sanità veneta che, onestamente, continua ad oscillare tra eccellenze riconosciute e criticità strutturali mai del tutto risolte.

La pandemia ha messo a nudo l’importanza di una sanità pubblica capace di garantire cure a tutti, ma ha anche evidenziato le fragilità di un sistema indebolito da oltre quindici anni di politiche di austerità. 

Resta fondamentale ribadire che i sistemi universalistici – e quindi pubblici – sono quelli che meglio garantiscono il diritto di tutti i cittadini alla salute, e che il ricorso al privato non può diventare la scorciatoia obbligata per ottenere una visita od un esame in tempi decenti (anche perché ci sono italiani che le visite private non se le possono permettere).

Avendo avuto, in altri tempi, un po’ di esperienza politica, so bene che anche le migliori intenzioni finiscono spesso per scontrarsi con la realtà. 

L’errore più grande sarebbe quindi aspettarsi miracoli immediati da Gino Gerosa, in un Veneto dove, per farsi capire dagli infermieri negli ospedali, forse sarà presto necessario imparare l’uzbeko.

Chiudo tornando alla politica, e al neo Presidente in particolare. 

Stefani, archiviando la Giunta in tempi rapidi, ha dimostrato di sapersi muovere con disinvoltura tra le tensioni e gli appetiti che accompagnano la nascita di ogni nuovo Esecutivo. 

Il dossier sanità (Assessorato per il quale i Partiti sono disposti a tutto) rischiava di trasformarsi nel vero nodo gordiano del suo mandato: non solo perché assorbe da solo quasi l’80 per cento del bilancio regionale, ma perché incide quotidianamente sulla vita delle famiglie venete.

Puntando fin dall’inizio su Gerosa, Stefani ha mostrato di avere un’idea precisa di cosa debba essere un Assessore alla sanità: non un professionista del taglio dei nastri, ma un uomo di settore, in questo caso un luminare, capace di coniugare competenze specifiche e scelte amministrative.

Solo il futuro dirà se il mio ottimismo di oggi ha basi solide. 

Ma, almeno per una volta, la scommessa appare fondata su qualcosa di più della semplice aritmetica politica.

Umberto Baldo

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