7 Novembre 2025 - 11.28

Redditi bassi per gli altri: l’arte italiana dell’indignazione a targhe alterne

Umberto Baldo

Piaccia o non piaccia, viviamo un’epoca in cui la filosofia dominante non è più il liberismo o il socialismo, bensì il “pauperismo”.
Una sorta di francescanesimo di massa — rigorosamente in giacca firmata — che predica l’odio per la ricchezza, soprattutto quella degli altri.
Naturalmente, è a sinistra che il culto della povertà trova i suoi santi più devoti.
Ma anche le destre, in fondo, si sono adeguate: magari non recitano il “Pater pauperum”, ma si guardano bene dal contraddirlo.
Eppure, prima di brandire il cilicio fiscale, bisognerebbe distinguere tra la ricchezza che nasce dalla rendita, (finanziaria o immobiliare) e quella che viene dal lavoro vero, da un’attività produttiva e onesta.
Invece, oggi chi guadagna uno stipendio “alto” deve quasi vergognarsene, come se appartenesse a una setta segreta di adoratori del dio Mammona.
Eppure basta un sillogismo da talk show per ricomprendere nel girone dei “ricchi” Deputati e Senatori da 14mila euro al mese, presidenti di Enti pubblici che si auto-aumentano lo stipendio (come il presidente del CNEL, passato da 250 a 310mila euro l’anno), Boiardi di Stato, alti Magistrati, Dirigenti pubblici e compagnia cantante.
Sugli AD delle Banche ci sarebbe da aprire un capitolo a parte — magari un tomo — ma lì almeno siamo nel settore privato. Anche se, quando sbagliano, a pagare il conto siamo sempre noi: contribuenti cog…li (passatemi la licenza).
Ora, secondo la vulgata pauperista, anche Elly Schlein, Fratoianni, Bonelli, Conte e compagnia cantante, con i loro stipendi da parlamentari, rientrano a pieno titolo tra i “ricchi”.
Anzi, “super ricchi”, visto che per lo Stato italiano la ricchezza comincia dai 35mila euro LORDI l’anno.
Curioso, però, che questi neo-francescani non propongano mai di tagliarsi lo stipendio “per solidarietà con gli italiani poveri”.
Dev’essere una forma di carità selettiva.
In questi giorni si è scatenata la polemica sulla riduzione della terza aliquota Irpef dal 35 al 33%.
Apriti cielo! Si grida allo scandalo: “favorisce i ricchi!”
Detta così, sembra che il governo Meloni voglia fare il Robin Hood al contrario — togliere ai poveri per dare ai ricchi.
In realtà, è demagogia pura, aggravata da un’ignoranza crassa delle leggi fiscali.
Ricordiamolo: l’Irpef si fonda sul principio di PROGRESSIVITA’, cioè chi guadagna di più paga di più.
È la “tavola della legge” fiscale invocata da Schlein & co., secondo il vangelo “anche i ricchi devono piangere”.
Bene, ma i numeri dicono altro.
I lavoratori poveri poveri (fino a 15mila euro lordi l’anno) sono il 40% dei contribuenti Irpef, ma pagano solo poco più dell’1% di tutta l’Irpef italiana: in media una decina di euro al mese.
Già non pagano, e quindi oggettivamente non si può ridurre nulla.
Poi ci sono i lavoratori quasi poveri; quelli da 15mila a 28mila euro.
Sono i tre quarti dei contribuenti, ma versano solo il 20% del gettito complessivo: in media meno di 100 euro al mese.
Ridurre le tasse anche a loro produce in ogni caso effetti risibili, qualche caffè in meno al bar.
Il Governo, obiettivamente, ha cercato di neutralizzare il fiscal drag, cioè la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione.
Ma ci è riuscito solo in parte: fino a 32mila euro il recupero è stato pieno; tra 32 e 45mila è parziale; oltre quella soglia il vantaggio scompare (Fonte Ufficio Parlamentare di Bilancio).
E per gli altri niente da fare: il fisco non ha restituito un euro.
Ora, nella legge di bilancio si propone di ridurre dal 35% al 33% l’aliquota per i redditi da 28mila a 50mila euro.
Il beneficio riguarderebbe circa un quarto dei contribuenti, che però pagano l’80% di tutta l’Irpef nazionale.
E per la progressività del sistema, il vantaggio massimo — 408 euro l’anno — si ha dopo i 50mila euro LORDI.
“Ricchi” sì, ma non proprio da Champagne.
In altre parole: meno di due caffè al giorno.
Difficile ordinare una Ferrari nuova.
Si dimentica — o si finge di dimenticare — che i cosiddetti “Paperoni affama-popolo” sono appena il 7% dei contribuenti, ma sostengono la metà dell’intero gettito Irpef.
Senza di loro, più che la progressività, salterebbe la baracca.
Morale: accusare di “regalare soldi ai ricchi” il Governo che propone di ridurre di due punti l’aliquota per il ceto medio-alto è una comoda scorciatoia retorica.
Soprattutto se a farlo è qualcuno che, da parlamentare, incassa 14mila euro al mese, e poi predica la sobrietà.
Certo, ci sarebbe sempre l’alternativa radicale: una rivoluzione egualitaria, stipendi uguali per tutti, redditi identici, la società perfetta.
Già vista, peraltro: Stalin, Pol Pot, Mao… risultati catastrofici, fine della favola.
Forse è meglio qualche euro in meno in busta paga, che una tuta grigia obbligatoria per tutti, ed un libretto rosso in mano.
Umberto Baldo

Potrebbe interessarti anche:

Redditi bassi per gli altri: l’arte italiana dell’indignazione a targhe alterne | TViWeb Redditi bassi per gli altri: l’arte italiana dell’indignazione a targhe alterne | TViWeb

Testata Street Tg Autorizzazione: Tribunale Di Vicenza N. 1286 Del 24 Aprile 2013

Luca Faietti Direttore Fondatore ed Editoriale - Arrigo Abalti Fondatore - Direttore Commerciale e Sviluppo - Paolo Usinabia Direttore Responsabile

Copyright © 2025 Tviweb. All Rights Reserved | Tviweb S.R.L. P.Iva E C.F. 03816530244 - Sede Legale: Brendola - Via Monte Grappa, 10

Concessionaria pubblicità Rasotto Sas

Credits - Privacy Policy